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Il nome del locale è un omaggio alla Bandabardò, una delle band preferite di Gaia, ma vale anche come manifesto. Allo Scaccianuvole si sono tenute nel tempo riunioni, confidenze, presentazioni, cene che precedevano o seguivano eventi del Movimento Nonviolento come delle più diverse associazioni ferraresi, culturali e di volontariato. Essendo situato a poche decine di metri dalla stazione e nel quartiere dove più spesso il confronto tra culture diventa scontro, la sua vetrina accesa è un riferimento importante. Gabri e Gaia sono l’anima di questo posto, e anche altro.

Ho conosciuto Gabriella Ludergnani molti anni addietro, ero poco più che bambina e frequentavo la parrocchia del mio quartiere dove lei era un punto di riferimento, come educatrice e in tutte le attività. Era insegnante allora, di educazione fisica in un istituto superiore, un mestiere che ha svolto con fermezza e passione come tutte le cose. Intanto, alla Caritas, era tra i volontari nella cucina della mensa.

In parrocchia con la figlia, Gaia, qualche anno più giovane di me, mi ritrovavo a strimpellare canzoni, dagli Alleluia a Edoardo Bennato, e a organizzare giochi per i bambini, caccie al tesoro, scenette improvvisate. Gaia poi con il teatro ha continuato e ne ha conservato la presenza scenica, il sorriso, la discrezione, la voce squillante e gioiosa.

Ferrara è circondata dalla cinta muraria (“forse le più belle del mondo”, direbbe Piero Pinna) e lì ho ritrovato la Gabri qualche anno dopo, sempre in zona stazione, in un chiosco aperto nei mesi estivi. Lo gestiva insieme alla figlia. Nel resto dell’anno si concedevano qualche viaggio importante da cui tornavano con tisane e ricette insolite.

Erano diversi gli ingredienti della loro attività: fermezza e passione, anche qui, ma poi ricercatezza – degli ingredienti, delle proposte – e semplicità nell’offrire, nel rispettare le persone. Non hanno mai blandito nessuno, un pregio che altri gestori dovrebbero imparare. Offrivano le loro specialità con piacere e convinzione per il desiderio di far star bene le persone con il loro lavoro, ma non facevano giravolte per compiacere il cliente.

Gabriella Ludergnani, Gabri per tutti

Capitava che gruppetti di immigrati dal nord Africa o dall’Est Europa si avvicinassero al chiosco o stazionassero nelle panchine poco distanti. La Gabri era netta nell’accogliere tutti allo stesso modo esigendo però un uguale rispetto delle regole di convivenza. Erano tempi in cui alcuni gruppi politici facevano dell’immigrazione e della microcriminalità una bandiera. Lei ci teneva molto a che le due cose non venissero confuse. “Io dico a quei ragazzi: «Perché non venite nel tardo pomeriggio, quando ci sono gli anziani, così vi presento!? Questo è Tonino, questo è Luigino, e vedrete che se vi conoscono smettono di avere paura di voi». (È inteso che nel suo discorso battezzava Tonino e Luigino i cittadini stranieri, non gli anziani autoctoni; un passaggio di per sé significativo del suo modo di andare alla sostanza che ci rende eguali).

Allo stesso tempo la Gabri, classe 1942 cioè non più giovanissima, rimetteva in riga tutti e non aveva paura di nessuno. “Vengono sulle mura a bere, a ubriacarsi, e poi buttano le bottiglie. L’altro giorno ho urlato: «Eh no, non si fa mica così! Adesso venite giù, le prendete e le buttate nel cestino!» Han cominciato a protestare, ma io: «Venite giù ho detto. Non potete lasciare le mura in queste condizioni. Poi vi lamentate se gli italiani dicono che non avete rispetto. Scendete a pulire!»”.

Sembra una sciocchezza, non lo è. Conosco poche donne oltre la sessantina che da sole parlerebbero a quel modo a un gruppo di giovanotti ubriachi che si esprimono in una lingua sconosciuta. La Gabri aveva questa scorza apparentemente ruvida, maturata in una vita di cui conosco poco ma credo non facile, unita a una risata franca e diretta, un’ironia sferzante, un’apertura sincera.

Quando le Belle Arti hanno deciso che i chioschi sulle mura cittadine, e quindi anche il suo, deturpavano il paesaggio (argomento discutibile già allora, e ancora di più per come la città si è trasformata in seguito) in tanti siamo rimasti increduli. Lo commentavamo insieme a Daniele Lugli apprezzando l’attività, e mentre scrivo sono certa che se fosse qui questo articolo lo scriverebbe lui, in un modo bellissimo e ironico che non so nemmeno immaginare. Attività di quel tipo, più che uno sfregio a un monumento erano una luce accesa in un quartiere di cui si parlava solo per le risse, lo spaccio, il degrado e la prostituzione. Si sa che praticare i luoghi moltiplicando le occasioni di incontro e di conoscenza tra le persone è un modo per renderli più sicuri. Per dare un contributo in questa direzione, nel nostro piccolo abbiamo organizzato al chiosco qualche presentazione di Azione nonviolenta

Daniele Lugli a un dibattito sulla nonviolenza

Sfortunatamente la decisione della Sovrintendenza è stata irrevocabile ma la Gabri e Gaia non si sono perse d’animo. Hanno rilevato un ristorante pizzeria a pochi metri dal chiosco e hanno portato avanti entrambi gli esercizi finché è stato possibile per poi concentrarsi decisamente sullo Scaccianuvole, dove la filosofia è la stessa, con una gamma più ampia di possibilità consentite dall’essere un luogo che funziona anche sotto le intemperie, dove si trascorre più tempo e si può gustare di tutto, dalla pizza all’antipasto al dessert. Tra i segni di inclusione apprezzo sempre la presenza di dolci senza lattosio (per noi intolleranti è raro), o senza glutine, o per diabetici, e una politica dei prezzi che va incontro a tasche diverse. E poi c’è la voglia di giocare e di variare, di sperimentarsi, con le serate a tema e gli abbinamenti tra la cucina e altri modi di stare insieme.

Quando si entra allo Scaccianuvole si dà uno sguardo ai tavoli. Generalmente c’è qualcuno da salutare. Molto associazionismo per i diritti umani, la salvaguardia dell’ambiente, la pace, la cultura e l’arte… ruota attorno a questo locale, dove si spazia dalla grigliata mista a quello che io chiamo “vegano gaudente” (in opposizione al vegano penitenziale, innegabile), e dove le incursioni nelle cucine di altre culture si coniugano bene con le tradizioni locali.

Non per niente la Gabri – si legge dietro alla foto che Gaia ha preparato per distribuirla agli amici, all’ultimo saluto del 24 luglio scorso nella Chiesa di San Cristoforo – è una “mamma amatissima, cintura nera di cappellacci e di zuppa inglese”.

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Elena Buccoliero

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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