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La lombarda Elena Cecconi è una donna con lo spazio in testa. E’ infatti uscito recentemente il suo ultimo album “Sognando lo Spazio” per Urania Records, diretta di Noemi Manzoni, in collaborazione con il noto pianista inglese Tim Carey. Lavoro particolare e atipico, secondo lo stile della musicista nota a livello internazionale nell’ambito della musica contemporanea, con all’attivo concerti in tutto il mondo, per esempio in Usa nel 2015.
Elena Cecconi, inoltre è art director dell’Associazione culturale e futuribile Space Renaissance, fondata dall’ingegnere umanistico Adriano Autino e che in Italia può contare su promotori quali Gennaro Russo e altri gravitanti da anni nell’area dell’Agenzia Spaziale Italiana.
Musica, spazio e futurismo nell’accezione anglosassone indicano così il percorso musicale specifico della Cecconi, di matrice classica, reinventata secondo direzioni originali e tutt’uno con l’azione culturale di Space Renaissance. Elena ha dichiarato in una recente intervista il Blog della Musica: “Il cd “Sognando lo Spazio” con il pianista inglese Tim Carey, vuole essere  percorso della mente e delle emozioni. Attraverso brani stilisticamente diversi, evocando mondi e soggetti lontani dalla nostra quotidianità, eppure così vivi e vicini alla nostra vita psichica. Attraverso i brani mi ripropongo di avvicinare le persone ed il grande pubblico alla musica in generale, e alle tematiche di Space Renaissance in particolare”. “Casta Diva” dalla Norma di Bellini apre il viaggio con un’invocazione alla luna e poi ci si inoltra attraverso il mondo delle creature mitologiche di “Prelude à l’après-midi d’un faune” di Debussy e la drammaticità del mondo antico di “Chant de Linos” di Jolivet. Attraverso il linguaggio musicale Elena ci narra la nostra appartenenza al cosmo.  Il racconto continua con Undine, creatura acquatica e quindi in qualche modo aliena: folclore germanico, rievocata con fascino, dal linguaggio romantico di Reinecke. Infine una sorta di trilogia che guarda allo spazio: “Dreaming land” di Paola Devoti, composto per Space Renaissance; “Moon slow” di Howard Buss dedicato alla stessa Elena; “Across the stars” di John Williams, da Star Wars. Questi tre brani entrano l’uno nell’altro con un linguaggio colto e moderno, ma anche semplice e comprensibile. Musica percussiva con elementi jazz e futuristici.
Questo concept album dunque ci parla del “rapporto dell’essere umano con ciò che è alieno da noi”, continua Elena: la Luna invocata di Norma, ma anche quei riflessi lunari densi e ammalianti pennellati da “Buss in Moon slow”. La Terra dei Sogni di Devoti che guarda alle stelle e Williams che, infine, le stelle ce le fa attraversare con la magia del suo brano evocativo: “siamo già altrove….nello Spazio e nel Futuro!”, conclude la musicista lombarda.

Più nello specifico, il sound di  Elena Cecconi, potenziato virtuosamente da Carey, attraversa una certa matrice contemporanea, tra la musica cosmica del tedesco Klaus Schulze e lo stesso Glenn Gould, e presenta nello stesso tempo una sorta di minimalismo come nuovo pop virtuoso e postclassico. Dai numerosissimi lavori di Schulze, per esempio, a parte la naturale sincronia siderale, ricordiamo l’album “X” con minisinfonie esplicitamente dedicate a scrittori e filosofi a modo loro metamusicisti (Nietzsche, Trackl), e un neoromantismo tedesco che avvicina lo stesso Schulze al “citazionismo” di Reinecke performato dalla Cecconi. Dell’avanguardistico Gould citiamo le celebri elaborazioni di Mozart.
Nel disco la cover di John Williams da “Guerre Stellari” segnala una certa ormai ‘antitradizione’ nella musica pop al quadrato – dagli stessi tedeschi Tangerine Dream e i primi Kraftwerk agli stessi (pur in modulazioni diversissime) Brian Eno (Music for Films”, “Music for Airport” e”Apollo”) e il francese J. M. Jarre – sia certo ‘sperimentalismo’ comunicativo (echi anche del jazz “matematico” di A. Braxton), che mirano a creare veri e propri soundtrack del nostro tempo informatico e spaziale. Tale spartito significante verso l’”assoluto” nuovo è rievocato da un lato nello specifico dai brani di  Debussy e Jolivet,  espanso nella peculiarità femminile in quello del Bellini  lunare, amplificato dal tributo di H. Buss e dagli “spaziogrammi” inediti di P. Devoti; dall’altro affiora il grande archetipo di Pitagora stesso e della musica come cosmo vibrante, segno per eccellenza dello spirito umano, quasi riconnettendosi al volo di Space Reinassance, come catturare il suono ritmico delle cosiddette Stringhe della Fisica contemporanea.

Info su www.elenacecconi.it e http://www.elenacecconi.it/1/curriculum_it_en_2536301.html

 

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Roby Guerra


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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