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Giorno: 27 Ottobre 2015

Il 29 novembre a Roma premiazione del libro di poesie “D’amore, di sogni e di altre follie” di Zairo Ferrante

da: Roberto Guerra

A Zairo Ferrante il 1° posto al “Leandro Polverini 2015” con il suo “D’amore, di sogni e di altre follie” (sezione poesia sperimentale)

Zairo Ferrante, con il suo libro “D’amore, di sogni e di altre follie”, edito dalla casa ferrarese Este-edition nel 2009, ha ottenuto l’assegnazione del 1° posto nella sez. “poesia sperimentale” al premio Nazionale di poesia edita “Leandro Polverini 2015”.
Questa la motivazione della giuria presieduta da Tito Cauchi: “La raccolta e sottilmente disseminata d’un certo ottimismo laddove la soggettività si riempie di senso grazie alla lavorazione a cui l’Autore sottopone immagini e temi. Quanto di lirico-biografico possa trasparire da questa poesia sperimentale, che sin dall’inizio si muove all’interno di una riflessione sulla condizione umana, suggerisce a chi legge una riflessione veloce e ariosa sull’esistenza nel suo insieme, sul suo destino creaturale e temporale. Un codice universale sia pure nella parzialità di un personale punto di vista”.
I partecipanti all’edizione 2015, patrocinata dall’Assessorato alla Cultura della Città di Anzio, sono stati 114 e la cerimonia di premiazione si terrà il giorno 29 Novembre 2015, alle ore 10, presso la Sala Conferenze dell’Hotel Lido Garda – p.zza G. Caboto 8, Anzio, Roma -.
Zairo Ferrante è nato in provincia di Salerno nel 1983, ha vissuto ad Aquara, piccolo paese nel cuore del Cilento, fino all’età di 19 anni e, dopo aver conseguito la maturità scientifica, si è trasferito a Ferrara, dove ancora oggi vive e dove si è laureato in Medicina e Chirurgia. Autore di libri di Poesia e di prosa, nel 2009 ha fondato il “DinAnimismo”(Movimento Poetico/Artistico Rivoluzionario Delle Anime), ufficialmente riconosciuto come avanguardia da una parte della Critica letteraria. Attualmente, oltre a continuare la propria formazione in ambito medico, si occupa di gestire la rete e le collaborazioni artistiche del movimento Dinanimista, e di proseguire la sua attività letteraria. Suoi scritti e sue poesie si trovano su diverse autorevoli riviste, periodici culturali e raccolte antologiche, sia on-line che cartacee. Alcune liriche sono state tradotte in inglese, spagnolo e francese. Ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti.

All’Agrimercato di Grisu’ arriva il lambrusco di Modena, ogni mercoledì il buono della nostra terra dal campo alla tavola

da: ufficio stampa Coldiretti Ferrara

Ogni mercoledì i produttori di Campagna Amica animano il primo mercato contadino di Ferrara negli spazi della ex caserma dei vigili del fuoco. Dalle 8 alle 13.30 tante buone occasioni per acquisti a filiera corta, riscoprendo i gusti ed i sapori del nostro cibo.

Tra i buoni prodotti di stagione che potete trovare all’Agrimercato di Campagna Amica Ferrara presso lo spazio Grisù, nella ex caserma dei vigili del fuoco di Ferrara, con ingresso da via Ortigara, da mercoledì 28 ottobre potrete trovare anche il vino Lambrusco proposto dalla azienda agricola Messori Andrea di Modena.
Diverse le tipologie offerte, dal più amabile e brioso, al semisecco e secco. Tutti prodotti con le uve aziendali e garantiti dalla vigna al bicchiere!
Naturalmente troverete anche i consueti prodotti del mercato, che dalle 8 alle 13,30 vi attende al coperto nella ex sala macchine della caserma: frutta e verdura di stagione (mele, pere, susine, radicchi, patate, cavoli, cicoria, gli ultimi zucchini, zucche, patate dolci), salumi e carne fresca, confetture, miele, succhi di frutta, formaggi, ricotta, pane…
Ogni mercoledì una bella occasione per fare il pieno di sapore dal campo alla tavola, per ritrovare il gusto delle cose buone del nostro territorio.

Venerdì 30 ottobre a Bondeno “L’Expo spiegata ai bambini” incontro promosso da Forza Italia e Art’è Ragazzi

da: Ufficio stampa Forza Italia Bondeno

Incontro previsto venerdì 30 ottobre alle 17:30 presso la Pinacoteca Cattabriga in piazza Garibaldi 9 a Bondeno

“L’Expo spiegata ai bambini” un momento dedicato a tutti gli operatori culturali, ai genitori e a coloro che hanno a cuore la formazione dei più piccoli. Una riflessione sul tema dell’Esposizione Universale 2015 che si chiuderà a Milano il 31 ottobre.
In questi mesi l’abbiamo sentita nominare ovunque: telegiornali, quotidiani, riviste, speciali televisivi sull’Expo Milano 2015. Ma cos’è un’Esposizione Universale? Che storia ha questo evento? E perché è importante esporre qualcosa?
Per rispondere a questi interrogativi Art’è Ragazzi insieme a Forza Italia Bondeno, ha promosso l’incontro in programma venerdì 30 ottobre alle ore 17.30 presso la Pinacoteca “G. Cattabriga” in piazza Garibaldi 9 a Bondeno.
Art’è Ragazzi ha inoltre predisposto un numero speciale della rivista Dada dedicato all’Expo, in collaborazione con Marco Dallari, professore ordinario di Pedagogia Generale e Sociale, ideatore e direttore del Laboratori di Comunicazione e Narratività dell’Università di Trento e Artebambini, riconosciuto dal Miur (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca). Questo periodico, già premiato alla Fiera Internazionale del Libro per Ragazzi di Bologna nella categoria Arte per Ragazzi, è molto di più di una semplice rivista destinata ai giovanissimi: costituisce infatti una preziosa risorsa per genitori e insegnanti offrendo strumenti e occasioni di relazione educativa e creativa con un approccio attivo e multidisciplinare.
“Una manifestazione internazionale come l’Expo è prima di tutto una grande occasione d’incontro e di confronto. Quella di Milano è alle battute conclusive. Operatori di tutto il mondo – sostiene Marco Dallari – hanno avuto l’occasione non solo di mostrare ai colleghi e ai visitatori di altre nazioni come lavorano e cosa producono, ma anche soprattutto d’incontrarsi e confrontarsi per trovare nuove strategie di collaborazione, risolvere problemi comuni. Quest’anno il tema dell’esposizione di Milano 2015 è stato particolarmente interessante: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Non si tratta, dunque, soltanto di vedere quello che agricoltori, allevatori, industriali, commercianti e ristoratori producono e mettono sulle tavole del mondo: si tratta anche di affrontare problemi drammatici come la fame nel mondo, lo spreco di cibo nei paesi ricchi e la sua mancanza nei paesi poveri, la sostenibilità ambientale di allevamenti e produzioni agricole. Ogni edizione è un’occasione di piacere e riflessione, in cui sorprendersi, divertirsi, trovare storie sconosciute, e alla fine, accorgersi che si impara qualcosa di più.”
Al termine dell’incontro ogni partecipante verrà omaggiato del numero speciale della Rivista Dada “L’Expo spiegata ai Bambini”.

STORIE
Muti e il significato dell’amicizia

Al Festival di Roma Riccardo Muti ricorda il suo rifiuto alla regina Elisabetta, che lo avrebbe voluto a Buckingham Palace non per dirigere un concerto ma per avvallare con la sua presenza un’operazione mediatica. Da questo tema il regista Paolo Sorrentino ha tratto spunti per i suoi film. Oggi Francis Ford Coppola racconta il suo incontro con il Maestro nel 1962, quando suonava in casa di un cugino. Questo personaggio, che riscuote l’approvazione e l’ammirazione di milioni di persone famose o meno, è un amico vero e costante e per questo motivo mi sembra doveroso e nello stesso tempo gratificante ricordare il nostro ultimo incontro, guarda caso, proprio in occasione del concerto delle Vie dell’Amicizia al Ravenna Festival.
Nelle afose giornate che hanno caratterizzato questa torrida estate era imprescindibile recarsi al Ravenna Festival per il concerto che l’amico carissimo Riccardo Muti avrebbe tenuto nella sua città adottiva. Ma è da Ferrara che ha inizio questo fantastico viaggio dell’Amicizia, che da Ravenna si dirige verso Otranto dove in una cattedrale si celebra la fratellanza: segno della pietas per sempre espressa nell’immenso albero della vita del pavimento della chiesa, segno visibile della Gerusalemme terrena che si lancia nei misteri della Gerusalemme celeste dove trova la sua conclusione e la sua spiegazione.

A Ferrara chi si reca alla splendida Pinacoteca Nazionale dei Diamanti si imbatte in un misterioso e commovente dipinto di Simone de’ Crocefissi. Una giovane donna è stesa su un lettuccio, assopita, un’altra legge in un angolo col viso appoggiato al palmo della mano. Dal ventre della ragazza addormentata fuoriesce un immenso albero che nel suo centro porta il Cristo in croce e si conclude con il nido della fenice che risorge dalle proprie ceneri. Nella simbologia del dipinto troviamo non solo la storia dell’albero di Jesse da cui discende Cristo della stirpe di David, ma la sua funzione di salvamento e di redenzione simboleggiata dalla mano che accoglie e raccoglie i giusti nati senza battesimo e che Cristo salva, come si vede anche nel sublime affresco della terza cappella laterale del Monastero di Sant’Antonio in Polesine sempre a Ferrara.

L’Arbor vitae come idea di fratellanza e di possibilità di riunione nel segno del Cristo. Cosa ci potrebbe essere di più simbolico di questo segno che dovrebbe siglare la dolorosa odissea dei migranti?
Il significato dell’Albero della vita ha tradizioni molteplici: da quella ebraica legata alla Qabbalah a quella cristiana, senza dimenticarne i riflessi nelle religioni orientali, fino ad arrivare allo straordinario fregio dipinto da Gustav Klimt per la sala da pranzo di palazzo Stoclet a Bruxelles del 1909. I significati, dunque, rimandano a una complessa iconografia che raggiunge la sua massima espressione nel pavimento della Cattedrale di Otranto, dove questa Via dell’Amicizia ha raggiunto il suo traguardo

Il pavimento della Cattedrale di Otranto fu commissionato nel 1163 dall’arcivescovo di Otranto Gionata e fu eseguito dal monaco Pantaleone. “Suo intendimento è riprodurre con immagini quanto i suoi confratelli insegnavano e studiavano nel suo Monastero”, scrive don Grazio Gianfreda. “Rivela che Oriente e Occidente sono una distinzione richiesta dal tempo e dalla storia; che non rappresentano lo scontro di due culture, bensì il compendio di una sola cultura che sa conservare la propria identità anche attraverso le mutazioni imposte dagli eventi”.
Ecco il punto nevralgico: ricordare, di fronte all’intransigenza di certe forme d’intolleranza dettate dal credo religioso, come la cultura da cui nascono e si sviluppano i segni della storia sia unica e si leghi a quel concetto di amicizia e di fraternità tra i popoli sempre e continuamente messa in discussione dalle avidità mentali, culturali, economiche di cui conosciamo assai bene i riflessi.
E come dimenticare l’orrore delle crudeltà dell’Isis verso uomini e monumenti che ne è purtroppo la palpabile conferma? O il flusso inarrestabile di chi fugge da luoghi un tempo patria e ora ridotti a campi di battaglia? Come del resto testimonianza storica sono i martiri che riposano nella cappella a loro dedicata nella cattedrale di Otranto e che s’immolarono per difendere la città dall’assalto musulmano soggetto del bellissimo romanzo, “L’ora di tutti” di Maria Corti.

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Riccardo Muti

Riccardo Muti ha concepito un programma di severa intransigenza musicale, senza nulla concedere alla notorietà dei brani o al virtuosismo della sua magistrale conduzione. Risentirlo anno dopo anno, dagli esaltanti tempi fiorentini fino a questa potenza della maturità, fa pensare non solo al valore e alla necessità dell’esperienza che affina e arricchisce chi è dotato di una genialità che non è, come mi hanno insegnato i miei maestri, dono inconsapevole, ma duro lavoro e coscienza del fare.
All’abbraccio in camerino dopo il concerto ravennate mi chiede: “E allora cosa pensi del vecchio Muti?” La risposta non può che essere “Sei unico”. Eppure nella dedizione totale alla musica che ha siglato il suo percorso artistico c’è un nota fonda che si esprime in quella specie di intransigente culto per la filologia e per la parola autoriale. Basterebbe sentire la sua esecuzione ravennate del “Te Deum” di Verdi, un pezzo facilmente conducibile all’emozione del sentimento. Ma sentire l’uso dei pianissimo che ne fa il Maestro ci induce a riconoscere una maturità di pensiero che si ottiene dopo anni di strenuo lavoro sui testi e contestualizzando la musica nel suo tempo e nella scelta autoriale.

Nella straordinaria esperienza fiorentina che ho potuto condividere con Riccardo Muti l’impeto della giovinezza si sommava con un serissimo e irrinunciabile rispetto per la scrittura. E non era da tutti i giovani musicisti, per quanto geniali, partire da questo principio. Non a caso nella sua autobiografia racconta come il senso della sua direzione partisse dalla scrittura autoriale per capirne il senso e per ritornare, nel rispetto della musica, al significato originale che l’autore ha voluto esprimere. Mai in Muti ho potuto notare qualsiasi propensione che rimandasse alla spietata analisi con cui un altro genio come Federico Fellini aveva giudicato il ruolo del direttore in “Prova d’orchestra”. Negli anni Ottanta in America a Muti venne conferita l’ennesima laurea honoris causa ed io dovevo tenere una conferenza sul rapporto tra Manzoni, Verdi e il Romanticismo italiano. In inglese! Per me difficilissimo da parlare, specie per l’uso di quei tecnicismi che solo un grande amico scomparso, il musicologo Thomas Walker, seppe risolvermi. La sera prima della laurea arrivò Philip Glass con la revisione filologica del Don Carlos di Verdi. Ricordo quella nottata passata nei corridoi dell’albergo a sentire quei discorsi, per me quasi incomprensibili, intervallati da scoppi di sana allegria che così spesso rendono umanamente straordinaria la vena partenopea del direttore.

A Firenze poi il trionfo di Muti fu siglato nel 1976 dalla straordinaria esecuzione di “Orfeo ed Euridice” di Gluck. Regia di Ronconi, scenografia di Pier Luigi Pizzi, costumi di Umberto Tirelli. Credo che Muti ricordi ancora oggi con emozione quello spettacolo. Lui, che a volte – giustamente – pensa che la regia dell’opera remi contro la filologia dell’esecuzione, si misurò con il genio di Ronconi. Quel regista a cui Ferrara deve tanto non solo per gli spettacoli ariosteschi, ma per il “Viaggio a Reims di Rossini” o per un capolavoro come “Amor nello specchio”, massimo risultato della regia novecentesca, che provocò mugugni e accuse dai non proprio entusiasti ferraresi.
Nel 1977 il binomio Muti-Ronconi allestì il “Nabucco” verdiano le cui scene erano letteralmente inquadrate da enormi cornici dorate. E che emozione quando al momento del “Va pensiero” la cornice lentamente calava sulla folla degli ebrei schiavi e li fissava in una atemporalità fatta di silenzi e di pianissimo.

Auguro al caro amico Riccardo una maturità ancora più compresa nella consapevolezza che la musica non è solo bellezza o rispecchiamento del tempo, ma straordinaria capacità di saper costruire, guidati dalla sua bacchetta, l’heimat, la casa dello spirito, a cui si giunge dopo rigorose esperienze per affermare mannianamente la nobiltà dello spirito.

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Città a propulsione educativa

“Oggi più che mai la città, per piccola o grande che sia, dispone di innumerevoli possibilità educative. Essa racchiude in se stessa, in un modo o nell’altro, gli elementi importanti per una formazione integrale”. Così esordisce la Carta delle Città Educative.
Era il 1990 quando, su proposta dell’Ayuntamiento di Barcellona, si tenne in questa città il primo Congresso Internazionale de las Ciudades Educadoras, le Città Educative. Le 70 città che in rappresentanza dei 21 paesi vi parteciparono avevano un’idea chiara: pensavano che attraverso l’educazione i cittadini potessero riappropriarsi della loro città.
Da allora i congressi si sono tenuti ogni due anni e nel 1996 si è istituita l’Aice, l’Associazione Internazionale delle Città Educative, a cui attualmente aderiscono 521 amministrazioni locali di 38 paesi a livello mondiale. Sono città che hanno compreso come la grande sfida del ventunesimo secolo consista nell’investire nell’educazione permanente affinché ogni persona sia sempre più in grado di esprimere, affermare e sviluppare il proprio potenziale umano. Città che si impegnano a essere educative mettendo a disposizione dei cittadini tutte le opportunità e potenzialità possibili, insegnando loro ad utilizzarle.
L’intenzionalità formativa diviene, dunque, una dimensione forte e pregnante della vita della città.
In Italia sono 23 le città che aderiscono alla rete delle città educative, con in testa Torino, che si è dotata di un assessorato specifico.

D’altra parte continuare a invocare la società della conoscenza, il ruolo strategico dell’istruzione, lasciando poi tutto procedere come prima, sarebbe l’ennesimo esito del gattopardismo italico. Sapere che esiste una rete italiana di città educative è davvero una buona notizia. Perché parlare di città educativa è come significare che si intende configurare un sistema di formazione complesso, di apprendimento diffuso, in grado di mettere in gioco le sue varie componenti.
In sostanza la città educativa sottende un’idea buona, un’idea morbida di descolarizzazione, di superamento cioè del preconcetto che la formazione debba essere tutta giocata a scuola, di quel monopolio che invece di aprire la scuola al territorio ha finito per isolarla e richiuderla sempre più in se stessa. Insomma, la città educativa nutre una sana e salutare forma di descolarizzazione, che nulla toglie alla scuola, anzi la colloca intelligentemente al centro, al centro di un polo territoriale in grado di offrire un tessuto differenziato e diversificato di esperienze formative, più ricco, più pieno, più generoso, più autentico.
Dopo tanti “post”, post-moderno, post-industriale, post-capitalista, la Carta delle Città Educative invita al “pre”: a pre-pararsi al cambio di fase. Non siamo di fronte solamente a semplici cambiamenti, ma a sfide epocali, che richiedono soprattutto alle giovani generazioni nuovi attrezzi e nuovi modi di attrezzarsi. Anche la scuola fa parte di questo cambio di fase, essa stessa è al centro della crisi, per identità e ruolo, perché inadeguata di fronte alle sfide e alla complessità mondiale. Non può più essere lasciata sola, ha bisogno intorno a sé di città e di amministrazioni solidali e attente, soprattutto alle necessità dei propri giovani e ai loro bisogni formativi.

La città educativa è l’espressione della consapevolezza ormai diffusa che il territorio dell’istruzione è più ampio e aperto di quello scolastico, angusto e formale, che ci sono opportunità e modalità formative più accessibili e interconnesse, più immediate e dirette, più attive e più esperienziali della scuola. Ogni città, con la rete delle sue opportunità di apprendimenti formali e informali, è senz’altro anche questo. Non c’è migliore comunità di apprendimento di una città che fa propria la dimensione educativa permanente, non per rivolgersi solo ai bambini e alle bambine, ai cittadini in quanto alunni e studenti, ma a tutti indistintamente nella loro interezza.
È tempo ormai che la dimensione educativa proceda oltre la tradizionale caratterizzazione scolastica per assumere quella del territorialismo, di qui la forza della città educativa. La formazione, l’istruzione, i saperi non sono più solo una questione privata, singolare, ma per la prima volta nella storia di tutti i tempi, nella storia dei diritti dell’uomo, diventano parte del diritto di ognuno a esercitare la cittadinanza, trasformandosi in una questione plurale. Con questo le città devono fare i conti, perché nel nostro tempo l’enfasi sempre maggiore data alle competenze, significa in realtà la necessità di fornire ciascuno di tutte le mappe necessarie a orientarsi nel tragitto verso un mondo mai prima condiviso, e questo è tipicamente un tema di cittadinanza, di solidarietà e di democrazia.
Il diritto oggi non è più solo diritto a conoscere, a sapere, a possedere gli strumenti di un mondo in cui oltre ai linguaggi digitali, sempre più si impongono gli alfabeti della migrazione, ma diritto a esperienze educative calde, piene di risonanze, fortemente contestualizzate. La città può offrire questo, una full immersion nella realtà, non l’istruzione dei curricula, che non è certo suo compito, ma la dimensione dell’istruzione continua, dell’educazione permanente.

Nella città educativa ognuno ha il proprio ruolo, funzione e responsabilità. Le amministrazioni pubbliche, i servizi pubblici, le istituzioni, le strutture culturali, il mondo della creazione e produzione di cultura, arte, scienze e nuove tecnologie, il mondo delle organizzazioni economiche e del lavoro, le associazioni, la stampa, la radio e la televisione locale.
Nel contesto generale della città sono però le scuole che continuano a svolgere il ruolo più importante, perché è a scuola che si impara a imparare, a imparare per tutta la vita. Non c’è città educativa per nessuno dei suoi abitanti, se la scuola non assolve con serietà e impegno rinnovato a questo compito centrale, che non è di sapere, ma di imparare a sapere, per poter camminare verso qualsiasi futuro portando con sé la cassetta degli attrezzi dell’apprendimento, dell’apprendimento continuo in una città educativa, amica e solidale.

Link correlati
Carta delle Città Educative

Giovedì 29 ottobre al Circolo Arci Zone K il quartetto Manuzzi, Barbieri, Mantovani e Poltronieri in concerto

da: Circolo Arci Zone K

Rassegna “Zone Jazz”, giovedì 29 ottobre 2015 alle 22 il Quartetto Manuzzi, Barbieri, Mantovani e Poltronieri live

Dopo il bellissimo concerto di Oxana Trio di giovedì scorso, continua la rassegna “Zone Jazz” a Zone K, a cura di Roberto Manuzzi. Stasera al circolo Arci di Via Santa Margherita 331 a Malborghetto Di Boara arriva un prestigioso quartetto scaturito dalla “reunion” di quattro musicisti ferraresi di consolidata fama: Roberto Manuzzi al sassofono, Massimo Mantovani al pianoforte, Lele Barbieri alla batteria e Roberto Poltronieri alla chitarra. In programma il sound graffiante del soul jazz degli anni ’60 e ’70 di musicisti come Stanley Turrentine e Wes Montgomery e il “pre-rock” dei sassofonisti delle band di James Brown e Fats Domino.
Un’altra serata di grande musica, imperdibile per gli amanti del genere, nell’atmosfera intima ed esclusiva del Circolo.
L’apertura di Zone K è prevista come sempre alle ore 18 con “l’Aperitivo in Jazz”. L’inizio del concerto invece sarà verso le 22 circa.
La serata è ad ingresso rigorosamente gratuito e riservato ai soci Arci. Possibilità di cenare in loco. Data la limitata disponibilità di posti è consigliata la prenotazione del tavolo contattando il 346.0876998.

LA CURIOSITA’
Quegli acrobati italiani alle radici del circo russo

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Circo Nikulin Mosca

Da MOSCA – Qualche giorno fa mi sono lasciata tentare, ho ceduto alle lusinghe di un tipo di spettacolo che solitamente non frequento. Non perché sono snob, ma semplicemente perché amo troppo gli animali per volerli vedere danzare a ritmo di musica, per osservarli rispondere ammaestrati a cenni e gesti di un colorato e sorridente domatore. Il circo, questo mondo variopinto che attrae grandi e piccini, dove il profumo di popcorn, di croccante e di zucchero filato si mescola a quello intenso e conturbante di signore agghindate come se andassero a una sfilata. Eccomi allora, inaspettatamente, al grande Circo di Mosca, sullo Tsvetnoi Boulevard, quello di Yuri Nikulin, un evento per la stagione in corso.

Il circo, inaugurato il 20 ottobre 1880 con il nome di Circo Solomonsky, è stato l’unico di Mosca fra il 1926 e il 1971, e resta ancora oggi il più popolare. Prima di entrare gustiamo un paio di crepes al cioccolato e al papavero e sorseggiamo un caldo e intenso tè all’obliphicha (una sorta di dolcissima nostrana uvaspina). E dopo aver dribblato una lunga comitiva di cinesi, varchiamo la soglia di questo bellissimo esempio di circo in muratura, non il solito tendone, pieno zeppo di anime vocianti e felici. L’atmosfera è divertente, molti bambini hanno i volti truccati con farfalle, animaletti e fiorellini e, come vedrò durante lo spettacolo (per fortuna), gli animali non sono il pezzo forte. Ci sono sicuramente le splendide ed eleganti tigri siberiane, un rinoceronte e bellissimi cavalli che mi strappano qualche lacrima, ma a dominare la scena sono soprattutto acrobati, giocolieri, funamboli, equilibristi, clown. Sono atletici, scolpiti, leggeri, volteggianti, piroettanti, quasi magici. Sembrano volare. Il tema della stagione è il Carnevale veneziano. Vi lascio dunque immaginare la bellezza dei costumi e delle maschere ad esso ispirate e la splendida e avvolgente musica di sottofondo, da rondò veneziano alla Cavalleria Rusticana di Mascagni fino a ‘A città ‘e Pulecenella.

Circo Nikulin Mosca
Circo Nikulin Mosca

Il circo russo è noto nel mondo per la sua qualità, originalità e maestria degli acrobati, ma a stupirci e meravigliarci sarà anche altro. Eh sì, perché anche qui non manca il tocco italiano, un’arte portata in Russia dal direttore di circo, e soprattutto cavallerizzo, Gaetano Ciniselli. Partito da Milano, sua città natale, dopo varie esperienze in Francia, al Cirque National di Parigi, e al circo De Bach di Vienna (per non dimenticare Barcellona, dove fondò un circo in legno), Ciniselli approdò a San Pietroburgo nel 1869. In realtà questo incredibile cavallerizzo era stato già in Russia una prima volta, nel 1846, al seguito della troupe di Alessandro Guerra, ma mentre diventava un acrobata equestre unico, fondava una sua compagnia a Milano, nel 1864. E dopo questo risultato, era pronto per la Russia, dove gli spettacoli circensi erano molto apprezzati fin dai tempi dello zar Pietro il Grande (risale al 1724 la presenza di equilibristi e acrobati che si esibivano belle case della più importanti famiglie aristocratiche). Nel 1869, infatti, Ciniselli, su invito dell’impresario circense Karl Hinne, familiare della moglie, giunse a San Pietroburgo per impegnarsi nell’addestramento dei cavalli e nell’insegnamento dell’arte acrobatica equestre.

Circo Ciniselli allora
Circo Ciniselli allora
Circo Ciniselli oggi

Qui prese in affitto per 30 anni un lotto di terreno nei pressi del fiume Fontanka, per poter chiedere il permesso alle autorità alla costruzione di una edificio in muratura adibito agli spettacoli circensi e abbandonare le antiche scomode costruzioni in legno. Il permesso arrivò solo nel 1875, ma l’anno successivo iniziarono i lavori e, nel dicembre 1877, ebbe luogo la solenne inaugurazione di un edificio sfavillante, una cupola senza colonne di sostegno, una facciata decorata con enormi finestre ad arco e gruppi scultorei raffiguranti teste di cavallo, interni arredati con lampadari di cristallo, specchi e stucchi dorati. La cupola era rivestita di una tela dipinta con immagini di acrobati fra i quali lo stessi Ciniselli. Gli spettacoli furono un immenso successo, andare al circo divenne immediatamente di moda. Fra le novità strabilianti anche uno spettacolo acquatico, nel 1892: nell’arena al centro del circo vi era un’enorme piscina in cui notavano cavalli, elefanti e cervi. L’estro italiano non si fece attendere e non mancò mai. E oggi il circo Ciniselli di San Pietroburgo costituisce ancora una della maggiori attrazioni della città. E Ciniselli (insignito del titolo di Grande Scudiere Onorario dal re Vittorio Emanuele II) è un grande maestro, indimenticato e indimenticabile. Al punto che, recentemente, una domatrice di tigri russa, Karina Bagdasarov, ha speso 2 milioni di rubli dei suoi risparmi personali per il restauro della tomba del fondatore del circo di San Pietroburgo. Karina sostiene che questo monumento è importante “non solo per aiutare coloro che sono vivi, ma anche per salvare la memoria di coloro che hanno vissuto e lavorato in questa terra per voi”. Ciniselli, continua Karina, non è stato solo un meraviglioso allenatore, pilota e acrobata, che ha aperto il primo circo di pietra permanente in Russia, ma “ha sollevato noi, il popolo dell’arena, ci ha portati dalla farsa che ci relegava al livello di clown ad artisti circensi, erigendoli al rango di arte”. Ciniselli vive, dunque, nella memoria di ogni acrobata circense. Brindisi alla sua memoria, dunque, sulle note di Nino Rota.

IMMAGINARIO
Spettacolo.
La foto di oggi…

Jesus Christ, Jesus Christ
Who are you? What have you sacrificed?
Jesus Christ, Jesus Christ
Who are you? What have you sacrificed?
Jesus Christ Superstar
Do you think you’re what they say you are?
Jesus Christ Superstar
Do you think you’re what they say you are?

Gesù Cristo, Gesù Cristo,
Chi sei? Che cosa hai sacrificato?
Gesù Cristo, Gesù Cristo,
Chi sei? Che cosa hai sacrificato?
Gesù Cristo Superstar
Pensi di essere proprio quello che dicono di te?
Gesù Cristo Superstar
Pensi di essere proprio quello che dicono di te?

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La locandina

Chi non la ricorda? Chi non ha canticchiato almeno una volta questo motivo? Ebbene questa sera e domani, 27 e 28 ottobre, la versione italiana di Jesus Christ Superstar cantata in lingua originale va in scena per la prima volta al Teatro comunale di Ferrara. Firmato da Massimo Romeo Piparo, lo spettacolo vanta ormai numerosi record: 11 anni in cartellone in Italia, oltre 1.500.000 spettatori, più di 120 artisti che si sono alternati nel cast, e più di 1.200 rappresentazioni. Il protagonista è Ted Neeley, colui che interpretò il ruolo di Gesù nello storico film del 1973, diretto da Norman Jewison, trasposizione sul grande schermo del musical omonimo di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber.

Per informazioni clicca qui.

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

il caso mattei-volontè

GERMOGLI
Misteri italiani.
L’aforisma di oggi…

27 ottobre 1962 Mentre sta tornando a Milano da Catania precipita nella campagne di Bescapè, in provincia di Pavia, l’aereo personale del presidente dell’Eni Enrico Mattei. La morte di questo protagonista della storia politica ed economica non solo italiana del dopoguerra, diventa un altro dei nostri ‘misteri d’Italia’. E si infittisce ulteriormente con la scomparsa nel 1970 del giornalista Mauro de Mauro, che stava indagando sul caso Mattei e sembrava anche disponibile a fornire materiale al regista Francesco Rosi per il suo film, uscito nel 1972.
Le indagini per attentato vengono inizialmente archiviate, ma nel 1997 il ritrovamento di reperti che possono ora essere analizzati con nuove tecnologie, le fa riaprire. Nel 2005 la procura di Pavia accerta definitivamente che l’aereo «venne dolosamente abbattuto», senza però potere scoprire né i mandanti, né gli esecutori.

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Giorgio Bocca

Che cosa era Enrico Mattei? Un avventuriero? Un grande patriota? Uno di quegli italiani imprendibili, indefinibili, che sanno entrare in tutte le parti, capaci di grandissimo charme come di grandissimo furore, generosi ma con una memoria di elefante per le offese subite, abili nell’usare il denaro ma quasi senza toccarlo, sopra le parti ma capaci di usarle, cinici ma per un grande disegno.(Giorgio Bocca)

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

ACCORDI
Circo è magia.
Il brano di oggi…

La magia e il fascino del circo: per i più piccini, come per il giorno di Natale, un’immensa gioia al suo arrivo in città ed un enorme malinconia quando il grande tendone rosso e bianco viene smontato. Una sensazione perfettamente descritta da Eric Clapton nel suo brano Circus Left Town.

Ogni giorno un brano intonato a ciò che la giornata prospetta…

Leggi l’articolo intonato:

LA CURIOSITÀ – Acrobati italiani alle origini del circo russo

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