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di Eleonora Rossi

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Avanti il prossimo. Il prossimo utente, la prossima prostituta, il prossimo cliente. Avanti il prossimo destino. Arrampicato su marciapiedi, su permessi di soggiorno, su giorni instabili, spesso beffardi. “Avanti il prossimo. Storie di ordinaria prostituzione”, biancaevolta edizioni, 2016, opera prima di Giovanna De Simone, è stato accolto con favore di critica e pubblico ed è già alla seconda ristampa. Un libro scomodo, sorprendente, necessario. Per leggere con occhi disincantati una realtà che appartiene a tutti, ma che molti preferiscono non vedere. La lama che rende questo libro tagliente (e unico) è l’ironia: l’autrice sa raccontare con un sorriso (seppure a denti stretti) le contraddizioni del sistema italiano: sfruttamento, droga, prostituzione. Compromesso.

“La contraddizione è il fulcro dell’intero lavoro, niente è come sembra”. Mentre mi parla Giovanna accartoccia e sbriciola la carta stagnola del cioccolatino, lasciandomi una miriade di minuscole palline luccicanti sul tavolo. Autoironica e diretta, sorride (e ride di gusto) e mi racconta la sua avventura letteraria. Decisa ma al tempo stesso riservata, l’autrice a tratti abbassa lo sguardo, nascondendolo dietro le piccole lenti rettangolari. Disinvolta e disinibita sempre, invece, la sua scrittura. Classe 1971, Giovanna De Simone opera da 10 anni al Centro Donna Giustizia di Ferrara. Come lei Tina, la protagonista del libro, lavora in un centro di accoglienza per donne vittime di tratta e di violenza. Lavorando a contatto diretto con la disperazione e l’estremo disagio, per evitare di rimanerne sopraffatta, la protagonista è stata capace di costruire tra sé e le sue utenti un muro di efficienza, professionalità e vestiti griffati; allo stesso modo Tina gestisce marito e figlio. Un giorno arriva Blessing, prostituta, nigeriana, clandestina. L’incontro fra le due donne è l’inizio di una nuova storia: struggente, sarcastica, vera. Faccia a faccia con i ruoli, con le maschere, con i sensi di colpa che da sempre segregano l’universo femminile. Lungo la strada, sia Tina che Blessing riescono a togliersi di dosso le etichette (prostituta, moglie, clandestina, donna), per riprendersi finalmente la propria identità. Come il suo personaggio Tina, Giovanna De Simone non riesce a smettere di fumare ed è ferocemente spaventata dagli scarafaggi. Ha scritto un libro coraggioso, ma sul comodino staziona in maniera permanente una bomboletta di insetticida.

Partiamo dalla copertina del tuo libro, “rosa shocking”, femminile, su sfondo nero: esplicita, allusiva, eppure raffinata. Come è nata questa immagine?
Doveva essere fortemente legata al titolo del libro. Abbiamo impiegato un paio di mesi per elaborare quel titolo, scegliendo da una lista di oltre 50; per un’intera giornata io e l’editrice Antonietta Benedetti ci siamo chiuse nella saletta colloqui del Centro Donna Giustizia per fare la correzione delle bozze e decidere: è uscito infine Avanti il prossimo. Abbiamo abbozzato quindi uno schizzo per l’illustratore, Alessandro Di Sorbo, grafico di Roma. Sulla copertina volevamo evidenziare il ventre femminile, non solo l’apparato sessuale, simbolo dell’accoglienza in senso cattolico/solidale, accoglienza della nascita ma anche dell’utente. Il ventre come emblema della donna. Sullo sfondo di quel simbolo, una fila di uomini tutti uguali, indistinti, in una sorta di imbuto, creano visivamente il sesso femminile: la caratterizzazione della donna nell’immagine (mi è stato fatto notare) è data unicamente da questo elemento maschile.

La scia di uomini in coda traduce dunque il titolo “Avanti il prossimo”: chi è questo “prossimo”?
La parola ‘prossimo’ si riferisce sia al cliente e allo sfruttatore, sia alla vittima che chiede aiuto, un vero ‘prossimo’ in senso biblico. Anche nel titolo c’è questa dualità.

Avanti il prossimo fagocitato dal “sistema”, il prossimo reietto, la prossima lucciola che non splende. La trama rimanda esplicitamente alla tua professione: puoi spiegarci di che cosa ti occupi esattamente al Centro Donna Giustizia di via Terranuova 12b?
Principalmente il nostro lavoro si articola in tre 3 progetti: Uscire dalla violenza (rivolto alle vittime di violenza domestica); Oltre la strada ( dedicato alle vittime della tratta e della prostituzione); Luna Blu (un progetto di unità di strada a tutela del diritto alla salute delle sex workers). Lo scorso anno abbiamo accolto e seguito, tra i tre progetti, 278 donne.

Le due protagoniste del libro, Tina e Blessing, sono speculari. In un intrigante rovesciamento, si scopre che anche Tina – donna, madre , moglie – finisce per essere schiava di una società e di un ruolo che le viene imposto.
L’operatrice cerca di salvare una donna da un primo sfruttamento, ma la sua assistita passerà ad un nuovo sfruttamento lavorativo. Tina stessa poi si scopre schiava del giudizio dei maschi in una società che costringe ad essere sempre desiderabile, perfetta. Schiava anche a casa sua: Tina deve provvedere a tutto, dalle pulizie ai compiti, dalla palestra fino alle mutande del marito. Nel libro a un certo punto Tina protesta: “Che cosa ho conquistato io dopo tanti anni di lotte?!?”

Ci si può liberare di questa schiavitù?
Basta volerlo. Lo devono volere le donne, che spesso si accollano compiti, sono accondiscendenti e permettono che le ingiustizie avvengano. Sono loro che lo permettono. Sono io che lo permetto. La protagonista del libro a un certo punto cerca di cambiare il suo destino. L’unica soluzione per lei è uscire dalla scena. Molte persone reali si sono riviste nei tuoi personaggi e nelle situazioni che hai ricreato sulla carta. Qual è secondo te il rapporto tra letteratura e vita? La vita reale è la vetrina dalla quale scelgo le cose che mi servono, per trasformarle poi come vuole la storia. La stessa protagonista è una parte di quello che sono io, di quello che vorrei essere e di quello che non vorrei diventare. Dentro ci ho messo tutto, sogni e frustrazioni, le risposte che avrei voluto dare, le persone che avrei voluto essere.

Dunque la scrittura è una sorta di bacchetta magica che sublima o trasforma il reale?
Sì. Le situazioni sono volutamente esasperate, accentuate per evidenziare il lato comico. L’effetto è comunque realistico perché il libro muove da situazioni vissute, rilette però con ironia: un paio di occhiali che ti aiuta vedere situazioni che altrimenti non riusciremo a guardare, come gli stupri e lo sfruttamento.

Avevi in mente un destinatario quando hai iniziato a scrivere?
In principio me stessa e le mie colleghe. Scrivevo per cercare di trovare un lato comico (che c’è sempre) all’interno della nostra quotidianità sfibrante. Poi ho iniziato a pensare alle istituzioni che finanziano il Centro, per far capire a chi non ci conosce come si lavora e qual è il carico emotivo degli operatori. Andando avanti nella scrittura, scoprivo che il destinatario a cui pensavo era un pubblico sempre più vasto: tutti quelli che non conoscono il carico di disperazione di tutte le donne, anche italiane, che arrivano a bussare ad una porta per chiedere una mano. Che cosa rappresenta per te questo libro? Ti ha cambiata in qualche modo? È molto importante. È un sogno che si realizza. Un’editrice ha creduto nel mio lavoro e l’ha sostenuto. Tante persone mi hanno dato feedback positivi. Il libro ha suscitato molto interesse: quasi nessuno conosce il fenomeno della prostituzione, molti pensano che sia un reato, ma non lo è. Questo libro per me è un seme piantato.

Quanto tempo hai impiegato a scriverlo?
Due anni. Il primo anno ho scritto i racconti a puntate slegati (pubblicati su un blog), poi, su suggerimento della casa editrice, ho creato la trama di un romanzo più complesso, e ho unito con un filo rosso tutte le storie precedentemente raccontate.

Il libro è stato presentato alla Feltrinelli a Ferrara per la prima volta a maggio, poi al festival Estoria di Gorizia, Bologna, al Festival delle Culture in Romagna, a Internazionale; sei stata intervistata da reti televisive e il tuo libro è apparso su testate come Donna Moderna e Italia Oggi: come hai vissuto questi mesi di presentazioni e novità?
Le presentazioni mi emozionano molto, mi imbarazzano. A tu per tu riesco a dare risposte più “sensate”. Ho scritto un libro perché mi sento meglio quando resto dietro alle quinte. Che cosa significa per te scrivere? Chi sono i tuoi Autori? Scrivere è lo spazio per me. È la “stanza tutta per sé” di Virginia Woolf. Però non ho una stanza per me perché scrivo in cucina dalle dieci di sera in poi, quando vanno tutti a letto (ride). Tra i miei autori preferiti metto Paolo Nori, Giuseppe Culicchia, Bohumil Hrabal, John Irving, Doris Lessing.

Stai scrivendo qualcosa di nuovo? Ci puoi dare qualche anticipazione?
Sì, sto scrivendo. Ma ancora non so cosa devo scrivere… sono i personaggi che mi guidano nella storia.

A proposito di storia e di personaggi, torniamo a Tina, e a te: hai smesso di fumare?
No (sghignazza)… mi sono iscritta di nuovo al corso del Sert per smettere.

E gli scarafaggi? Ti fanno ancora paura?
Paura? Sono terrorizzata.

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Redazione di Periscopio

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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