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Da Udi

L’Unione Donne in Italia vuole ricordare il contributo delle donne nella ricerca della verità e della giustizia  soprattutto in occasione del Venticinquesimo anniversario delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.
La magistrata Francesca Morvillo, la poliziotta Emanuela Loi, la compagna di una vita di Paolo Borsellino, Agnese Piraino Leto.
Le donne vengono spesso liquidate semplicemente come ‘la moglie di’ oppure la ‘poliziotta’, noi vogliamo ricordarle nel loro impegno concreto.
Pensiamo a Francesca Morvillo che sposò Giovanni Falcone e pochi ricordano che fu essa stessa una integerrima magistrata, riservata, schiva da ogni clamore, ma testimone di una genuina ricerca della giustizia. Figlia di un magistrato -Guido Morvillo e sorella di Alfredo Morvillo attuale procuratore-, la sua famiglia affonda le radici nel lontano Risorgimento. La descrive così la prima magistrata di Palermo, Maria Teresa Ambrosini, amica e collega di Francesca: “La incontrai nuovamente nel febbraio del 1972 allorchè, dopo un anno circa di permanenza presso la sezione penale del Tribunale di Agrigento, venne trasferita alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Palermo, in quello stesso Tribunale ove anch’io  negli stessi giorni mi ero immessa quale giudice, a seguito della istituzione di autonoma pianta organica di quegli uffici giudiziari. Abbiamo affrontato insieme, per lunghi anni, l’esperienza minorile che ci gravava di ansia, di inquietudine e di un impegno vigile e sollecito per la delicatezza delle situazioni coinvolgenti soggetti fragili, dalla personalità ancora in formazione. Francesca amava il contatto con i giovani: l’aveva già sperimentato nella Sua esperienza d’insegnamento, attività che Le era estremamente congeniale e che aveva svolto prima, durante l’Università nelle scuole elementari di un istituto per figli di detenuti e poi, per un anno, dopo la laurea, quale docente di diritto in un istituto tecnico statale. Tale esperienza, e in particolare quella vissuta con i piccoli svantaggiati dalla detenzione del padre, La portò a scegliere le funzioni di giudice minorile, aiutandola nell’approccio con i ragazzi e nella comprensione della loro personalità. L’estrema dignità ed umanità e il grandissimo equilibrio con il quale svolgeva il Suo ruolo hanno fatto sì che Essa non sia stata e non sarà mai dimenticata da tutti coloro che con Lei hanno avuto modo di lavorare”.
Francesca Morvillo ogniqualvolta doveva chiedere una condanna per un minore sentiva su di sé il peso di un’ingiustizia nei confronti di un minore: ”La vita lo ha penalizzato due volte”, diceva. Con Giovanni Falcone non sposa solo l’uomo ma la sua stessa idea di giustizia, super partes di fronte alla ricerca del vero.
L’amore per Giovanni è inscindibile dal suo amore per la giustizia.
È Francesca –racconta Paolo Borsellino il 2 giugno 1992- che consiglia a Giovanni le strategie più lucide, più razionali quando viene attaccato dall’interno stessa della magistratura. È Francesca che gli corregge alcuni provvedimenti giudiziari a matita con delle note delicate in basso, lo racconta l’amico magistrato Giuseppe Ayala.
Emanuela Loi, di origini sarde, dopo aver preso un diploma magistrale, entrò nella polizia di Stato nel 1989 e frequentò il 119º corso presso la Scuola Allievi Agenti di Trieste. Trasferita a Palermo non si era mai tirata indietro dinanzi ai compiti più difficili e pericolosi fino ad essere assegnata alla
scorta del magistrato Paolo Borsellino che negli ultimi mesi di vita diceva di sentirsi già morto: sapeva che sarebbe toccato a lui. Emanuela con gli altri colleghi avvertivano ad ogni spostamento che poteva toccare a loro la prossima carica di esplosivo. Aveva appena 25 anni e aveva paura in quell’estate siciliana.
È la prima donna assegnata alle scorte e la prima poliziotta ad essere uccisa.
Agnese Piraino Leto, compagna di una vita di Paolo Borsellino, ha testimoniato con forza nei vari processi depistati di via D’Amelio, tutto ciò che Paolo le aveva confidato: “l’odore della morte”, fino a pochi giorni prima di morire, taluni incontri istituzionali equivoci e inquietanti, le minacce e la solitudine del padre dei suoi figli.
“Paolo era la giustizia”, ripeteva Agnese che con Lucia, Fiammetta e Manfredi ancora ragazzini, nel 1985 aveva subito l’isolamento dell’Asinara con Paolo -stessa sorte toccò a Falcone e alla sua famiglia-per garantire il primo maxiprocesso. Una delle figlie di Agnese e Paolo si era ammalata per essere stata strappata al contesto quotidiano spensierato della sua adolescenza.
Fu Agnese a rifiutare il rito di stato preferendo per Paolo funerali privati, accusando il governo di non aver saputo proteggere il marito: “”Non meritavano questi uomini”, ebbe a dire, facendo riferimento ai politici che non avrebbero meritato di presenziare alla cerimonia funebre del marito.
Senza alcun dubbio possiamo affermare che né Giovanni Falcone né Paolo Borsellino, né Francesca Morvillo, né gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro né Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter  Eddie Cosina e Claudio Traina siano stati realmente tutelati dallo Stato in quegli anni. Non c’era un elicottero a Capaci preposto a seguire il corteo blindato, non era stata effettuata una bonifica sul tragitto.
In via D’Amelio –nonostante la strage di Capaci- si è ripetuto lo stesso copione. Siamo consapevoli che i nemici e le nemiche delle mafie rimangano oggi solo chi realmente si oppone a vari livelli  -dalla gestione dei territori, all’economia, all’organizzazione del lavoro in determinati ambienti lavorativi- a quegli interessi sempre più ampi e più vasti che stanno mettendo a rischio la democrazia nel nostro Paese fondamentale per tutti e per le donne in particolare.
Per questo, in questi giorni in cui si ripercorrono le vite di Falcone e Borsellino, le due grandi figure che la mafia ci ha sottratto, l’UDI vuole anche riportare al ricordo collettivo l’esempio di queste tre donne vittime dirette e indirette della stessa stagione nera messa in atto da una mafia violenta e assassina, e che pur consapevoli del rischio non si sono sottratte a perseguire una scelta di vita giusta. E con loro, tante altre donne di altre stagioni aspettano di essere nominate.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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