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Anna Zanardi, psicologa autorevole e advisor di Amministratori Delegati e CdA di grandi gruppi industriali, stila il decalogo del capo modello: la parola d’ordine è “coerenza”

Uno degli elementi di maggior successo di una buona governance è lo stile di leadership dei vertici di un’organizzazione. Un capo carismatico e seguito, finanche amato, è in grado di motivare e trascinare tutti coloro operano nel suo raggio d’influenza, con enormi benefici in termini di performance e risultati. Per riuscirci deve innanzitutto ispirare fiducia, e per farlo la parola d’ordine è “coerenza”.
Un capo coerente è prevedibile, non vi sono incertezze su come vorrebbe che le cose venissero gestite in una certa situazione; un capo coerente non vi lascerà spiazzati cambiando idea o applicando pesi e misure diversi a seconda delle persone con cui ha a che fare; un capo coerente spiega in modo chiaro ed inequivocabile i principi che governano le sue azioni e cosa si aspetta dagli altri; un capo coerente dice sempre quello che pensa e agisce di conseguenza, e se cambia idea, come spesso le necessità richiedono, è in grado di spiegarlo coerentemente.
Più facile a dirsi che a farsi, ma il gioco vale la candela, e sforzarsi di diventare un “capo coerente” può portare grandi risultati. Si dice sempre, e a ragione, che gli individui – in particolare gli elementi migliori di un’organizzazione – non lasciano il proprio lavoro per problemi con “l’azienda” in generale, ma la maggior parte delle volte lo fanno perché hanno un problema personale col proprio capo. Il “problema”, indovinate un po’, è quasi sempre legato alla “coerenza” di quest’ultimo, come segnalano le ricerche più recenti.

Anna Zanardi, in anni di consulenza ad amministratori delegati e consiglieri, evidenzia, anche in base agli ultimi studi, alcuni principi che definiscono il “capo coerente”:
1. Le persone vengono in ufficio con la voglia di fare un buon lavoro; il lavoro del capo è di garantire loro tutte le condizioni perché possano farlo;
2. Lodare in pubblico, correggere in privato;
3. Siccome il lavoro del capo è di fare in modo che il proprio team porti a casa un buon risultato, se un membro del team fallisce è perché il capo non lo ha messo nelle condizioni di avere successo;
4. Occorre avere disciplina nel seguire le proprie regole, per quanto lasche o al contrario puntigliose;
5. Sempre diffidare dal “lo abbiamo sempre fatto così”. Ci sono sempre modi migliori di fare le cose, e tutti possono avere idee e suggerimenti validi;
6. Lasciare a coloro che dovranno convivere con una nuova procedura, la possibilità di contribuire a crearla o a modificarla;
7. Lasciare che le persone identifichino e risolvano i problemi ai livelli più bassi;
8. Lasciare che le persone abbiamo la possibilità di ampliare il proprio orizzonte di lavoro;
9. Condividere le informazioni il più possibile;
10. Creare opportunità motivazionali; divertirsi; sostenere un sana competitività, gli atteggiamenti e i comportamenti corretti così come uno spirito positivo.

Attraverso un comportamento e degli atteggiamenti incoerenti, i capi distruggono inconsapevolmente la fiducia dei loro sottoposti, mettendo a rischio la produttività e aumentando al contempo lo stress dei dipendenti. Se sostituiamo la parola “capo” con venditore, amministratore, insegnante, allenatore o genitore, questa affermazione rimane veritiera.
Una ricerca recente ha addirittura dimostrato che gli impiegati preferiscono un supervisore che si comporti in maniera discutibile ma costante ad un capo imprevedibile che oscilli tra correttezza e ingiustizia. Risulta inoltre che il capo imprevedibile generi nei suoi sottoposti livelli di stress fisiologico molto superiori a quelli patiti da impiegati trattati male ma con costanza. L’esaurimento incombe in coloro che camminano costantemente sulle uova, obbligati ad indovinare come il capo potrebbe agire o reagire in tale o talaltra situazione.
Allora meglio lo sgarbo prevedibile o il tipo buono ma scostante? Nessuno dei due: la virtù sta nel mezzo, o meglio nella prevedibilità, meglio se non malevola.
Come fare, quindi per migliorare la propria coerenza come capo? Occorre investirci un po’ di tempo e di sforzi, a cominciare dalla comunicazione. Se le riunioni di team sono utili a livello generale per spiegare il proprio punto di vista e la strategia da seguire, non è tempo perso quello trascorso faccia a faccia con le singole persone. Da un lato offre al capo la possibilità di esplicitare più in profondità i propri principi e la propria visione delle cose, dall’altro permette di raccogliere informazioni di prima mano dalle trincee in prima linea, e capire come fare poi a facilitare il lavoro del proprio team. Infine accresce la motivazione e l’autostima dei singoli individui, facendoli sentire considerati.
In secondo luogo si deve assolutamente essere convinti di quello che si dice, oltre a dire sempre quello che si pensa. Se riconosciuta, questa caratteristica di un capo è la motivazione più forte per i membri del team per “passare all’azione” senza esitazioni, senza dover pensare a dietrologie o possibili cambi di marcia, concentrandosi anima e corpo sul da farsi. La ricetta migliore per il successo di qualsiasi operazione.
Infine mantenere saldamente la barra sulla rotta prefissata, senza lasciarsi distrarre da occasionali sirene incontrate lungo il percorso farà sentire al team la solidità della propria motivazione, senza svalutare i loro sforzi fino a quel momento. Se dovessero intervenire fattori che rendessero necessario un cambio di rotta, una comunicazione tempestiva ed esaustiva nello spiegarne le cause salvaguarderà la motivazione generale e la fiducia nel capitano.

La coerenza – che in fondo non è altro che il buon “lead by example” anglosassone – risulta quindi essere un fattore discriminante tra successo e fallimento, e prima ce ne accorgiamo, da capi, meglio sarà per l’organizzazione a noi affidata:
Sulla coerenza si costruisce la fiducia: inutile parlare di “fare” se poi ciò non avviene
Coerenza uguale prevedibilità: chiunque “rende” meglio in un contesto prevedibile. L’incertezza genera esitazioni e stress.
La coerenza del capo è responsabilizzante: non ci sono scuse, il da farsi è sempre chiarissimo e prevedibile.
La coerenza sostiene il “personal brand” del capo, la sua reputazione. I leader di maggior successo lo sanno bene. Più si è apprezzati, più si è seguiti.
Ci vuole impegno. Se comportamenti incoerenti prendono il sopravvento e diventano routine, i dipendenti, disorientati, non credono più a niente.

La coerenza non implica la rinuncia del capo alla propria personalità. Ve ne sono di vario tipo: chi è piuttosto diretto e spigoloso; chi più diplomatico; chi preferisce un rispetto rigoroso delle regole fin nei minimi particolari e chi è più tollerante. Non c’è uno stile giusto e uno sbagliato, purché si sia costanti e prevedibili – leggi affidabili – per il nostro team. Certo gli effetti sul gruppo di lavoro sono pure diversi a seconda del proprio stile. Ad esempio chi è più rigoroso sui regolamenti tenderà a rendere il team meno propenso a correre dei rischi, e ciò può essere giusto o meno giusto a seconda del contesto. Così come chi incoraggia una certa rilassatezza riguardo alle regole otterrà comportamenti più avventati, propensi a provare vie nuove e alla sperimentazione.
Quale che sia lo stile, che siate buoni o cattivi, lassisti o pignoli, aggressivi o diplomatici, se volete guadagnarvi il rispetto del vostro team e ottenere sempre il massimo dalle vostre persone, siate quello che avete scelto di essere, onestamente e sinceramente, senza mai tradire i vostri principi e le vostre convinzioni. E se proprio dovete essere antipatici, siate antipatici sublimi sempre e in ogni circostanza. Sarete seguiti, e forse non proprio amati, ma questa è un’altra storia.

Anna Zanardi da trent’anni svolge la sua attività di board advisor e coach strategico di AD e Consigli d’Amministrazione di multinazionali ed enti pubblici in Italia e in Europa. Almeno 18 tra i suoi clienti figurano nella top 100 della classifica mondiale di Forbes. Li assiste nei molteplici aspetti della governance, dalla gestione del cambiamento, ai processi di trasformazione aziendale, al decision taking and making, alla gestione dei talenti e alla valorizzazione delle risorse interne. Il profilo accademico di Zanardi si è sviluppato ai più alti livelli, principalmente in Europa e negli Stati Uniti, dalla Bocconi a Stanford, all’Insead di Fontainebleau, sulle due direttrici della psicologia e del management. Ha insegnato presso università e business school italiane, dalla Bocconi, alla Cattolica, alla LUISS ed è membro di diverse associazioni e ordini professionali. Ha al suo attivo numerosi lavori editoriali, ed è stata pioniere e prima autrice italiana a pubblicare un libro sul coaching – “Il coaching automotivazionale” (FrancoAngeli, 1999).

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

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