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Giorno: 11 Novembre 2019

L’ignoranza non ha più scuse

Il dilemma tra l’essere ignorante e l’essere colto è questione vecchia come il mondo se persino gli egizi ne discutevano. Il fatto è che dai tempi che furono a pochi decenni fa l’ignoranza della gente semplice era un fatto, come dire, fisiologico. La gente, il popolo, non poteva accedere alla conoscenza semplicemente perché la conoscenza era appannaggio di pochi privilegiati. La cultura, lo studio dei fenomeni naturali, delle arti, delle scienze e della filosofia, era pratica consentita solo agli abbienti e ai potenti. E se studiare era roba da ricchi, lo è stata fino all’altro ieri. Almeno finché l’inesorabile avanzare del progresso sociale e della tecnologia non ha consentito a tutti di potervi accedere.
È ormai assodato come la cultura permetta all’uomo di comprendere meglio i meccanismi complessi che muovono il mondo attorno a lui. E certamente un popolo più colto e consapevole sarà senz’altro meno controllabile e manipolabile da chi detiene il potere. Per questo la cultura dovrebbe considerarsi, oltre che un traguardo individuale, una conquista sociale volta all’emancipazione.
È infatti la conoscenza l’unica vera arma dell’individuo, ciò che lo rende intimamente libero e sufficientemente preparato a difendersi dagli eventuali trabocchetti del potere.
Ma allora perché, in un’epoca come quella attuale, in cui la conoscenza è diventata accessibile a tutti, c’è ancora chi si ostina a snobbarla, a vantarsi persino della propria incultura?
Oggi non si tratta più di impossibilità ma di rinuncia consapevole. E chi rinuncia scientemente alla conoscenza e alla cultura non può più essere considerato soltanto un semplice ignorante ma un vero e proprio imbecille!

“La vera saggezza è meno supponente della stupidità. L’uomo saggio dubita spesso, e cambia la sua opinione; lo stupido è ostinato, e non ha dubbi; egli conosce tutte le cose ma non la sua stessa ignoranza.”
Akhenaton

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la settimana…

Achilles Last Stand

La scorsa settimana mi sono sbronzato peso a una festa indetta per
celebrare l’anniversario della caduta del muro di Berlino.
Eravamo in tanti ma non mi ricordo molto.
Francamente non so neanche perché ero stato invitato e perché ho
deciso di andare.
Forse non avevo molto da fare quella sera o boh, forse mi sarò sentito
attratto dalla grande offerta di libertà e democrazia buttata lì un
tanto al chilo al tavolo del buffet.
Mi ricordo solo che a una certa ho intravisto Achille Occhetto in
disparte, proprio da solo in un angolo con una faccia strana intento a
versarsi dei whiskey come se non ci fosse un domani.
Peggio di quella volta che l’han filmato, devo dire.
Non mi ricordo se poi sono andato ad attaccar bottone al vecchio
Achille ma, da quel che mi è stato raccontato successivamente, pare
che io abbia finito col “dare in escandescenze” mettendo un po’ tutti
in imbarazzo.
Sono giorni che cerco di capire il perché di questa mia performance ma
forse c’entra Achille Occhetto, chi lo sa.
L’unico flash che ho bello piantato nel cervello è che a una certa è
partito un video di David Hasselhoff sparato sul telo bianco del
proiettore.
Il volume era altissimo e forse, guardandomi indietro, posso
ipotizzare di aver sbroccato lì.
A mia parziale discolpa devo dire che – senza negare le mie
responsabilità nell’aver messo un po’ tutti in imbarazzo – tutta la
situazione era già di per sé assai imbarazzante.
Ricordo che prima di uscire di casa, avevo letto sull’invito il menù
della serata, menù che prevedeva fra i primi piatti gli
“spaghetti-pollo-insalatina-e-una-tazzina-di-caffé” che da quel che ho
capito era proprio un sugo con tutte quelle cose frullate insieme
versate sugli spaghetti.
Dopo aver letto quella cosa mi ricordo che ho pensato “dio mio, il
Buongusto è davvero morto ma per fortuna io non mangio le bestie”.
Forse è stato quello a portarmi a bere oltremisura per poi finire a
insultare tutti mentre mettevo su dal telefono pezzi sparsi del
Complesso Accademico di Canto e Ballo dell’Esercito Russo “A.V.
Aleksandrov”, il comunemente detto “Coro dell’Armata Rossa”.
Ad ogni modo tutto questo mi pare più impressionante che importante e
non mi pento per niente di quello che ho fatto.
La cosa importante è che è finita anche l’epoca delle semplificazioni
a buon mercato, caduta proprio come un vecchio muro che nell’impatto
ha poi sollevato un gran polverone di calcinacci che a distanza di
anni ancora impediscono a gran parte del genere umano di guardare un
po’ più in là di quel polverone su cui David Hasselhoff balla tuttora
allegramente.
Adesso non so dire se questo sia meglio o peggio delle semplificazioni
a buon mercato che prima tanto disprezzavo.
Una cosa certa però è che ormai se una cosa non viene trasformata in
una specie di gif è un gran bel casino anche solo soppesarla,
figuriamoci contestualizzarla e andare magari un po’ più a monte.
Ma vabbè, forse è meglio chiuderla qui che poi altrimenti si rischia
di diventare pesanti come Scorsese, Coppola e Ken Loach.
Buona settimana e mi raccomando, beviamo tutti quanti responsabilmente.

Inno dell’Unione Sovietica (Coro dell’Armata Rossa, 2017)

OSSERVATORIO POLITICO
La lega non è un monolite, vanno fatti dei distinguo

Finalmente due buone notizie. Il sindaco della città, Alan Fabbri, porterà in Consiglio comunale la proposta di conferire la cittadinanza onoraria a Liliana Segre e il ministro Dario Franceschini ha ufficializzato il ripristino del finanziamento per il completamento del Meis: “Lo dobbiamo a Liliana Segre, a lei personalmente e a quello che rappresenta. La conoscenza è il migliore antidoto contro odio e intolleranza”.

Scriveva Antonio Gramsci che in democrazia “l’assedio è reciproco”. Teniamolo presente quando ci prende lo sconforto a fronte di notizie quotidiane gravi e inquietanti. In questi mesi la destra estrema, che fa capo alla Lega e a Fratelli d’Italia, si è scatenata nel promuovere campagne di odio e assumere decisioni vergognose. La non approvazione della ‘Commissione Segre’, sindaci della destra che considerano i viaggi della memoria ad Auschwitz ‘iniziative di parte’, la presenza di Casa Pound e Forza Nuova alle manifestazioni della Lega, sono solo alcuni dei fatti gravi tra tanti altri che potremmo ricordare. Ebbene, la reazione di una parte larga dell’opinione pubblica li ha costretti a compiere qualche gesto riparatore.
A chi, a sinistra, vorrebbe archiviare tutto sotto il titolo ‘ipocrisia’ e chiudersi in un rifiuto (a prescindere) di qualunque cosa succeda a destra propongo alcune riflessioni. In politica contano gli atti pubblici, non il processo alle intenzioni. Per esempio, conferire la cittadinanza onoraria a Liliana Segre è un gesto importante e di indiscutibile significato simbolico all’insegna dei valori della libertà, democrazia, tolleranza, contro ogni posizione razzista e filo nazi-fascista. Perché non riconoscere il segno positivo, nell’atto che solennemente verrà compiuto oggi in Consiglio Comunale, delle manifestazioni di queste settimane, della campagna quasi unanime sulla stampa e in tv, delle prese di posizione nella rete, della coscienza diffusa tra i giovani dei valori rappresentati dalla senatrice Segre? Tutta la città deve essere orgogliosa di avere Liliana Segre tra i suoi cittadini onorari!
Aggiungo un’altra valutazione storico-politica. Perché rifiutarsi di prendere atto che la Lega non è compatta e unita su posizioni estreme e pericolose? Perché negare che sia attraversata da divisioni su principi e temi fondamentali per la convivenza civile e democratica?

Vengo da una tradizione politica che negli anni bui della dittatura fascista distingueva tra il filosofo Gentile e lo squadrista Farinacci. Perché non dovrei praticare la stessa arte della distinzione giudicando la Lega? Senza sottovalutare l’effetto deprimente che produce un atteggiamento di non considerazione dei risultati che la mobilitazione dell’opinione pubblica può determinare. La democrazia funziona così, mediante una dialettica quotidiana che condiziona tutti i protagonisti della vita pubblica e che di volta in volta determina spostamenti in direzioni diverse a seconda della capacità culturale messa in campo dai diversi attori politici. Chi si aspetta vittorie clamorose e definitive non ha capito il carattere ‘grigio’ di un sistema che vive all’insegna di mediazioni, compromessi e non aut-aut da ultima spiaggia.

Vorrei concludere queste note ricordando l’insegnamento di un grande filosofo e maestro di democrazia morto in questi giorni: Remo Bodei. Anche nel suo ultimo importante libro (“Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale”, Il Mulino) invitava, dinanzi a problemi in continua evoluzione e a eventi circonfusi da uno spesso alone di incertezza, a non perdersi in profezie di sventura o a coltivare superficiali ottimismi, ma impegnarsi a studiare per capire e ad organizzarsi per agire.
Remo Bodei amava ripetere un detto di J. M. Keynes: “L’inevitabile non accade mai, l’inatteso sempre”. Viviamo tempi difficili, ma anche affascinanti. C’è l’urgenza di rimodellare dalle fondamenta il nostro apparato concettuale e di abbandonare idee ‘tampone’ o anacronistiche che producono solo indecisione e immobilismo. A volte più che abbracciare idee nuove, si fa fatica a liberarsi di quelle vecchie. Insieme ad opere fondamentali Remo Bodei è stato un intellettuale per molti aspetti originale in questo tempo di stucchevoli narcisismi e diffuse sciatterie. Rigore nella ricerca storico-filosofica, instancabile divulgazione apprezzata per chiarezza e qualità, presenza costante nella discussione pubblica concepita come luogo di verifica e di controllo della stessa riflessione filosofica. Siamo grati a queste testimonianze di serietà intellettuale e impegno civile che ci sostengono nella determinazione a ‘non mollare’.

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