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Mese: Marzo 2015

Uomini e Topi sul grande schermo

da: ufficio Stampa Apollo Cinepark

Domani sera alle 20.15 all’ Apollo Cinepark, live dal National Theatre di Londra, sullo schermo arriva “Uomini e Topi” con James Franco e Chris O’Dowd.

Tratta dal romanzo del premio Nobel per la letteratura John Steinbeck  l’opera è in lingua originale sottotitolato in italiano ed è uno degli appuntamenti più attesi della rassegna “Apollo Arte e Cultura”.

Ambientato in California, Of Mice and Men (pubblicato a New York nel 1937 e disponibile in italiano per Bompiani nel volume a cura di Luigi Sampietro) è un potente ritratto dello spirito americano dopo la Grande Depressione del 1929, ma anche la testimonianza straziante della forza dell’amicizia. Ha dichiarato James Franco “E’ la mia prima volta a Broadway, ma me ne sono innamorato. Quando i miei colleghi del mondo del cinema mi chiedono come riesca a farlo e rifarlo tutte le sere, io rispondo che le repliche hanno sempre una nuova energia grazie al pubblico che hai davanti. E’ come se ci fosse una nuova elettricità ogni sera. In un certo senso è più emozionante che fare un film”. 

L’attore e comico irlandese Chris O’Dowd, conosciuto per commedie come Le amiche della sposa e Friends with Kids, interpreta la parte del bracciante Lennie, affetto da un ritardo mentale. James Franco veste invece i panni di un altro bracciante, George, che si prende cura di Lennie, come se ne fosse il tutore. Dotato di un’enorme forza fisica, Lennie sfugge spesso al suo controllo tanto da arrivare un giorno a spezzar l’osso del collo della moglie del padrone del ranch. Disperato George sarà costretto ad ammazzare l’amico per sottrarlo al linciaggio.
Nato nel 1978 a Palo Alto, James Franco è un attore, regista, scrittore e sceneggiatore statunitense. Inizia a recitare negli anni Novanta in serie televisive come Freaks and Geeks e raggiunge la fama internazionale interpretando Harry Osborn nella trilogia di Spider-Man di Sam Raimi, lo spacciatore Saul Silver in Strafumati, Aron Ralston in 127 ore e il mago di OZ nel film Il grande e potente Oz. Nel 2013 l’attore ha ricevuto la sua stella nella Hollywood Walk of Fame.

Regia: Anna D. Shapiro
Cast: James Franco; Chris O’Dowd

 

L’INCHIESTA
Rimborsi per il sisma, l’odissea dei creditori

Tempi lunghi per i rimborsi dei danni del sisma. Lunghissimi. Il Comune di Ferrara svolge un’istruttoria accurata, al punto da ripetere per almeno due volte tutte le verifiche: la pratica presentata viene esaminata da un primo nucleo di valutazione che la istruisce e poi la trasmette al gruppo incaricato di predisporre l’ordinanza del sindaco che ripete di nuovo tutti controlli, magari eccependo sul lavoro fatto nel grado precedente. E alla fine se l’importo erogato è relativo a lavori in corso, a conclusione si deve verificare di nuovo che tutto quadri. E’ un po’ come in tribunale, con vari gradi di giudizio. E gli effetti non sono tanto differenti: si sa quando un ‘processo’ incomincia, non quando finisce. L’unica certezza è che il creditore dovrà avere pazienza, molta pazienza.

Trecentonovantatré sono le richieste di contributo accettate dal Comune di Ferrara su 2.102 presentate al 30 gennaio scorso. Venti milioni e trecentomila gli euro assegnati, dei quali dieci milioni 663mila già erogati ai primi 280 beneficiari. Gli altri sono in attesa. “Ora ci stiamo occupando degli interventi più onerosi, quelli relativi alle ricostruzioni vere e proprie: parliamo di importi sino a due, tre milioni ciascuno”. Marco Vanini è il responsabile dell’ufficio sisma e assieme ad altri undici colleghi, ingegneri o come lui architetti (e un amministrativo), già dal giugno 2012 si occupa delle pratiche relative ai rimborsi per i danni causati dal terremoto. “All’inizio eravamo solo in cinque, poi quando dopo circa un anno sono cominciate ad arrivare numerose istanze il numero è aumentato”.
Da più parti arrivano lamentele per la lentezza con cui procedono le istruttorie e si assegnano i soldi a chi ne ha diritto. Cosa dice la la normativa regionale a riguardo? “Dalla presentazione dell’istanza dovrebbero trascorrere massimo 60 giorni, ora portati a 90”. E invece? “Invece poi quasi sempre le domande sono incomplete e richiedono dunque integrazioni che allungano l’attesa”. In media quanto si aspetta? “Difficile fare una media”. In realtà un media matematica non è così difficile da calcolare, ma il prudente architetto Vanini non si sbilancia. Di certo c’è chi ha atteso anche un anno e mezzo prima di avere i soldi sul conto corrente.

Ma perché tanto tempo? Il Comune prevede due livelli di controllo. Il primo di merito. “Valutiamo le spese, la correttezza dei computi metrici, il rispetto delle normative sulla sicurezza, gli aspetti strutturali”. Se tutto è in ordine scatta il benestare e si predispone l’ordinanza del sindaco che sancisce il diritto al rimborso. A quel punto l’atto viene notificato alla banca che prenota alla Cassa depositi e prestiti la somma stanziata. “Quando però si procede a Sal (cioè a rimborsi in stato progressivo di avanzamento dei lavori, ndr) come avviene di norma, si rende ovviamente indispensabile un’ulteriore verifica, che comprovi il rispetto delle previsioni”. Comprensibile. Meno comprensibile invece è che lo stesso criterio si applichi anche a chi richiede il rimborso di lavori già effettuati e magari pure pagati. Anche in questo caso il fascicolo passa da un primo nucleo di istruttori a un secondo, con le medesime competenze (trattandosi sempre di architetti ed ingegneri) che prima di emettere l’ordinanza ripassa al setaccio per la seconda volta la documentazione già analizzata dai colleghi del medesimo ufficio, con un significativo e poco giustificato incremento dei tempi di attesi”. Anche perché un’ordinanza può richiedere tre mesi per essere prodotta. “Troppi?” ci domanda il responsabile, e di rimando ci mostra un faldone così pesante da sembrare un arma impropria… “D’altronde i controlli sono necessari, stiamo assegnando soldi della comunità, denaro di tutti, ci vuole senso di responsabilità”.
“E poi ci sono le telefonate – aggiunge – Ne arrivano tantissime. Rispondere a tutti e con cortesia è un dovere, ma richiede anche parecchio tempo”. Finirete entro l’anno l’esame delle pratiche pendenti? Vanini spalanca le braccia. “Forse sì, forse no. Io di certo terminerò il mio lavoro, perché a dicembre vado in pensione”.

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PAGINE DI GIORNALISMO
Vita da giornalista (meglio che lavorare)

Etaoin etaoin etaoin: sono nato professionalmente, giornalisticamente, quando questa frase iterativa aveva un significato, oggi è soltanto un oscuro messaggio, cento milioni a chi sa dire che cosa significhi, per facilitare posso aggiungere la parola asfongobeis. Ora tutto chiaro, no? Sovente, negli articoli dei giornali di una volta (poche pagine, quasi niente pubblicità se non quelle di un callifugo che si trovava su tutti i fogli oppure della miracolosa pomata per rassodare i seni stanchi e afflosciati delle donne e farli ergere come a sedici anni), dicevo che spesso gli articoli dei quotidiani finivano misteriosamente con la frase incriminata. Per esempio: “…e con tre coltellate il marito malfidente ha ucciso, accusandola d’infedeltà, la moglie. Etaoin etaoin etaoin asfongobeis”. Pareva un saluto in greco antico. Invece, era semplicemente una riga di piombo, anzi due, che il linotipista faceva scendere sulla colonna ancora bollente, ma non più allo stato fuso, per pareggiarla e con la mano sinistra faceva una strisciata in verticale sui primi tasti delle sei file della consolle e usciva la riga con tre etaoin, poi, con la mano destra, compiva lo stesso gesto ma in orizzontale e sulla colonna rovente cadeva la riga di piombo con asfongobeis, ora sarebbe necessario spiegare che cos’era la linotype, com’era fatta, che funzioni aveva nella stampa a caldo, ma andremmo fuori tema, c’era la linotype e basta, e c’erano i linotipisti, coloro che trasferivano sul piombo i manoscritti (si scriveva molto a mano, soprattutto i collaboratori intellettuali) e i dattiloscritti: erano bravissimi i linotipisti, veloci, precisi. Etaoin etaoin etaoin asfongobeis. Pensieri vaganti in un momento in cui i ricordi vanno a quando molto lavoro umano era ancora manuale, il cellulare non era il telefonino ma semplicemente il furgone per il trasporto dei detenuti, i telefonini non esistevano e per chiamare il giornale da fuori città si chiedeva alla centralinista una “R”, una “rovesciata”, voleva dire avere la precedenza sulle interurbane normali e far pagare la chiamata al giornale. Era tutto più faticoso e più semplice. Adesso che tutto è semplice le cose sono maledettamente complicate.

Forse la vita comincia quando e dove finisce la ragione, era una massima di mia nonna Adele, nata Sgallari, ma potrebbe anche essere di Kierkegaard o, ancora più indietro, di Giordano Bruno in attesa del rogo purificatore che la Chiesa riserva a chi parla o pensa troppo. L’apostema (termine scelto con cura maniacale per la sua bruttezza) personalmente l’avrei affisso all’entrata delle grandi città dei morti, e pure dei piccoli cimiteri, creati, in nome di Dio, per la gloria dei vivi, meglio di quell’orribile motto che i nazisti mettevano sui cancelli dei loro lager, “Arbeit macht frei”, stupido, arrogante, feroce: il lavoro stanca l’uomo, mica lo rende libero, i padroni hanno sempre fatto lavorare i loro servi, ritagliando per se stessi ampi spazi di libera inettitudine, mascherata sotto l’ipocrita formula “il signore sta studiando”, mai visto un signore (o una signora) zappare la terra, al massimo sono stati notati, i signori, mentre curano le camelie, operazione che, come si sa, comporta molta fatica. Camelie oppure orchidee. Se i padroni avessero amato lavorare, certamente a curare le camelie avrebbero mandato i loro operai, ai quali viene raccomandato di non pensare, pensare, infatti, è pericoloso e il padrone ha il dovere di salvaguardare la salute psicofisica dei dipendenti. E avrebbero riservato a se stessi, i padroni, l‘ambita fatica negli altiforni. E’ una delle ragioni principali dell’atteggiamento paternalistico e protettivo degli editori nei confronti dei loro giornalisti, che sono gli zappatori del pensiero, i manovali dell’intellettualità, guai se un giornalista comincia a pensare, il suo capo servizio subito lo guarda con sospetto, il sospetto poi viene comunicato al direttore, da questi all’editore e, alla prima occasione propizia, il cogitante viene allontanato con le buone o con le cattive maniere, messo da parte, confinato nel limbo degli impuri rivoltosi nemici della società: c’era un mio collega per il quale era stato ritagliato un solo compito, trascrivere, mandandoli poi in tipografia, gli annunci del mercatino dell’usato dei lettori, centinaia ogni giorno e lui scriveva, scriveva, di tanto in tanto qualcuno gli passava dietro, gli batteva con la mano su una spalla e gli diceva “beato te, Paolo, che fai il giornalista e viaggi”.

Parlare dei giornalisti e del giornalismo oggi significa tentare di spiegare le ragioni di una società stupida, violenta, ignorante, in cui i giornalisti sono gli strumenti del potere per imporre alla gente il proprio interesse. Il potere è un’enorme, furba, indifferente bestia pelosa. E il popolo moderno non viene educato secondo regole del buon comportamento, siccome voleva un antico codice borghese, anche questo ormai dimenticato – la formula era: come un buon padre di famiglia – ma dai programmi televisivi pensati per le casalinghe meno attrezzate culturalmente e dalle centinaia di settimanali-bagascia nei quali gli argomenti più impegnati riguardano le tette siliconate di ragazze decerebralizzate e i muscoli taroccati di qualche maschio enfiato con gli anabolizzanti, come le galline e i vitelli da macello, la cui carne si sgonfia e si affloscia appena sente il brucior del fuoco. Il buon giornalista è quasi sempre colui il quale vende meglio la propria carne e il proprio cervello e il grande giornalista è un intellettuale che conosce meglio degli altri l’inesauribile gioco del mercato delle idee, non si deve prestar fede a chi presenta figure romantiche di scrittori che hanno saputo opporsi con il proprio petto agli insulti della violenza del potere, gettare la stampella contro il nemico, chi veramente lo ha fatto è stato impallinato, umiliato, avvilito, confinato e insultato: un grande giornalista, Guido Nozzoli, forse il migliore tra gli italiani inviati durante la guerra in Vietnam, venne richiamato in patria, scriveva cose sconce, cioè la verità su quella nefanda avventura del capitalismo non soltanto americano, ecco, Nozzoli diceva di avere un unico censore, il suo barbiere di Rimini, nella cui bottega tornavano di tanto in tanto anche Federico Fellini e Sergio Zavoli, amici antichi, sì che il negozio era diventato luogo di ritrovo, di discussione, di dibattito ed era sempre il parrucchiere a dirigere, a giudicare, a condurre come un Santoro da bottega e, a volte, a ironizzare sui tre suoi amici famosi: quando ero in Vietnam – raccontava Guido – e descrivevo un’operazione bellica e mi accorgevo di aver usato una parola desueta, immaginavo di vedere il mio barbiere uscire dalla sua boutique e urlare il mio nome facendo seguire il grido da una sonora pernacchia. A quel punto Nozzoli cancellava il termine sostituendolo con uno più popolare, “che Dio benedica il mio barbiere”, concludeva. L’eretico anticapitalista Nozzoli fu punito, il suo raggio d’azione non poteva andare oltre le mura della pur grande Milano, “sono un inviato in tram”, diceva sorridendo amaro. Un giorno venne a salutarmi, eravamo in redazione al giornale, torno a Rimini, disse, vado in pensione a fare l’ebanista, mi piace fare l’ebanista, un giorno vieni a vedere come ho sistemato un cassettone antico a casa mia. Il giornalismo del potere lo aveva mandato in pensione anzitempo, ma non credo che abbia poi fatto l’ebanista. Di lui rimane nella mia biblioteca il bellissimo libro “I ras del fascismo”. Rividi qualche anno dopo, seduto a un bar davanti all’Embassy, glorioso baladùr riminese, stravaccato su una poltroncina di vimini, sembrava uscito dal film “I vitelloni” del suo amico Fellini, pantaloncini bianchi corti, maglietta, ciabatte da spiaggia: “cosa fai qui?”, mi chiese, mi hanno tolto i servizi politici, mi hanno tolto le inchieste sul terrorismo, risposi, ora seguo le vacanze degli italiani, i nostri sguardi s’incontrarono. Comprese. Non c’era bisogno di altri commenti.

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SPECIALE – Mafia a Ferrara

Gli audio integrali dell’incontro “Mafia a Ferrara, allarmismo o rischio reale”, organizzato da Ferraraitalia il 16 febbraio alla biblioteca Ariostea.

Prima parte

Seconda parte


Articoli e interventi
di Ferraraitalia sul tema mafia [clic qua per leggere la rassegna]

Il nostro resoconto del 17 febbraio sull’incontro Mafia a Ferrara

NOTA A MARGINE – “Il rischio mafia esiste, compito di tutti è mantenere sana la città”

“Nelle zone di origine e presenza endemica, oltre a un vero e proprio controllo del territorio le organizzazioni mafiose hanno una funzione di mediazione sociale che permette loro di acquisire consenso; i risultati sono perdita di competitività del tessuto produttivo e deficit di cittadinanza. Ma il nord è diverso, è zona di colonizzazione: qui si fanno investimenti per riciclare i proventi delle attività illecite e sempre di più il metodo di infiltrazione non si basa sulle intimidazioni, ma su corruzione e strumenti del credito, con la costruzione di un sistema di connessioni in loco attraverso la connivenza di quell’area grigia formata da burocrati, politici, professionisti e imprenditori. Ecco perché Giovanni Tizian scrive di ‘holding finanziaria’ e il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti parla di ‘una visione politica del radicamento’”.

Fulvio Bernabei (foto di Aldo Gessi)

A sottolinearlo è stato Fulvio Bernabei, intervenendo al secondo incontro del ciclo “Chiavi di Lettura, opinioni a confronto sull’attualità” organizzato da Ferraraitalia con lo scopo di chiarificare nodi controversi del nostro vivere quotidiano. Ieri, in biblioteca Ariostea, si è dibattuto di mafia a Ferrara fra allarmismo e rischi reali, per cercare di capire quanto la nostra provincia è davvero permeabile e quali siano i segnali a cui dobbiamo porre attenzione.

Bernabei (Guardia di finanza) e Federico Varese (Oxford university) hanno fornito un inquadramento generale di cosa significhi mafia oggi: un fenomeno complesso e diversificato a seconda delle differenti aree della nostra penisola.
Il problema della diffusione al nord è noto. Il più recente documento che si occupa di illegalità diffusa nel nostro territorio è il rapporto “L’economia illegale in Emilia Romagna”, realizzato per Osservatorio della legalità e Unioncamere regionali dal professor Andrea Mazzitelli di Universitas Mercatorum. E proprio questo documento è stato il detonatore dell’appassionato confronto che ha attratto in biblioteca un folto e attento pubblico. “La nostra ricerca – ha spiegato Mazzitelli in collegamento Skype da Roma – indaga in particolare la presenza del fenomeno illegale nel tessuto produttivo legale, reso più fragile dalla crisi economica di questi anni: attraverso l’individuazione di indicatori e di campioni statistici ripetibili, si sono resi evidenti ‘i fattori di rischio’ e ‘la vulnerabilità economica e sociale’, considerandoli segnali anticipatori dell’infiltrazione”. Ed è “l’ormai palpabile sfilacciamento del tessuto sociale e produttivo”, fotografato anche dal rapporto di Mazzitelli, che ci deve preoccupare, non solo come ferraresi ed emiliani, ma a livello generale, perché è fra queste crepe di illegalità diffusa che le mafie si infiltrano con agilità.

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Varese – criminologo noto a livello internazionale in collegamento Skype da Oxford – ha però preso le distanze dalle conclusioni dello studio di Unioncamere, sostenendo che il giudizio è “falsato dalla considerazione di troppe fattispecie di reato non propriamente ascrivibili alle modalità d’azione delle organizzazioni mafiose e che, al contrario, nei settori tipicamente infiltrati dalla mafia (edilizia, movimentazione terra, stoccaggio rifiuti) a Ferrara si è registrata negli ultimi anni una contrazione del volume di attività”. Acqua sul fuoco dunque, accompagnata però dalla raccomandazione di non abbassare la guardia perché le insidie sono reali, come dimostrano le vicende delle vicine province di Reggio e Modena.

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Sintetico ma significativo ed eloquente è stato il contributo di Tito Cuoghi (Anpar) sui rischi di presenza e le modalità d’azione delle ecomafie negli appalti, con specifici riferimenti alla ricostruzione dopo il sisma dell’Emilia.

Donato La Muscatella (foto di Aldo Gessi)

Infine, il referente del coordinamento provinciale di Libera, Donato La Muscatella, ha concluso che il problema del radicamento in Emilia Romagna ormai è innegabile e anche a Ferrara “il rischio esiste: è necessario quantificarlo”. Per quanto riguarda il contrasto e la prevenzione, La Muscatella ha sottolineato che “il fenomeno criminale è competenza di magistrati e forze dell’ordine, ma il fenomeno sociale riguarda tutti; perciò benché non ci sia un vero e proprio allarme, la guardia va tenuta alta ed è compito di tutti i cittadini farlo per ridurre le occasioni di infiltrazione”. (Federica Pezzoli)

Il fotoservizio è di Aldo Gessi

Fulvio Bernabei (foto di Aldo Gessi)
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Tito Cuoghi (foto di Aldo Gessi)
Donato La Muscatella (foto di Aldo Gessi)

JAZZ CLUB
La magia di Potter al sax

Un nome che è magico per tutti gli amanti del jazz, e non c’entra nulla con il maghetto creato dalla fantasia della Rowling. E’ Chris Pottter, il sassofonista e compositore statunitense, definito da Down Beat “uno degli artisti più studiati (e copiati) del pianeta”. Venerdì scorso il tour europeo del Chris Potter underground quartet ha fatto tappa a Ferrara. Nel Torrione affollatissimo che ospita il Jazz club Ferrara Potter ha presentato “Imaginary Cities”, secondo album realizzato per l’etichetta Ecm. A completare la formazione Adam Rogers alla chitarra, Fima Ephron al basso elettrico e Nate Smith alla batteria. E Stefano Pavani dietro all’obiettivo per immortalare l’evento con la magia dei suoi scatti.

[clic su un’immagine per ingrandirla e vedere tutta la galleria]

 

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Chris Potter Underground a Ferrara (foto Stefano Pavani)
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Chris Potter Underground a Ferrara (foto Stefano Pavani)
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Chris Potter Underground a Ferrara (foto Stefano Pavani)
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Chris Potter Underground a Ferrara (foto Stefano Pavani)
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Adam Rogers alla chitarra per i Chris Potter Underground (foto Stefano Pavani)
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Fima Ephron al basso elettrico accompagna Chris Potter (foto Stefano Pavani)
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Nate Smith alla batteria per i Chris Potter Underground (foto Stefano Pavani)
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Chris Potter al Jazz club Ferrara (foto Stefano Pavani)
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Chris Potter Underground a Ferrara (foto Stefano Pavani)
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Chris Potter Underground a Ferrara (foto Stefano Pavani)
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Chris Potter Underground a Ferrara (foto Stefano Pavani)
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Chris Potter al Jazz club Ferrara (foto Stefano Pavani)
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Chris Potter al Jazz club Ferrara (foto Stefano Pavani)
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Fima Ephron al basso elettrico accompagna Chris Potter (foto Stefano Pavani)
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Adam Rogers alla chitarra per i Chris Potter Underground (foto Stefano Pavani)
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Nate Smith alla batteria per i Chris Potter Underground (foto Stefano Pavani)

NOTA A MARGINE
La traversata di Moisé nel mare del dolore

La settimana scorsa ho avuto l’occasione di ascoltare la storia di un uomo che, durante la sua infanzia, ha dovuto confrontarsi con una realtá feroce e scioccante. Il suo nome è Cesare Moisè Finzi, oggi ha 85 anni, ma ricorda perfettamente la data del 3 settembre 1938, come se quel giorno fosse stato scolpito nella sua mente in maniera indelebile. Da un po’ di tempo ormai il signor Finzi ha deciso di diffondere la storia della sua vita; vuole che i giovani non dimentichino le persecuzioni razziali che negli anni ’40 hanno causato la morte di milioni di persone, la disintegrazione di interi nuclei familiari, la tortura di un numero indescrivibile d’innocenti. Oggi tiene incontri nelle scuole dove parla agli studenti, costringendosi ogni volta a confrontarsi con la sofferenza vissuta, ripercorrendo un viaggio a ritroso nel dolore, nell’incredulitá, nella vergogna.

Con “Il giorno che cambió la mia vita”, titolo del suo ultimo libro, Cesare Finzi si riferisce proprio a quella fatidica data, prima della quale conduceva una vita tranquilla e serena. Nacque nel 1930, anno in cui a Ferrara, sua cittá natale, vi era circa un ebreo ogni cento abitanti. A quel tempo Cesare si sentiva una bambino come tutti gli altri, andava alla scuola ebraica e al pomeriggio giocava al parco con i suoi amici. Per lui la differenza tra un bambino cattolico e uno ebreo stava solamente nel fatto che il primo andava in chiesa la domenica, il secondo in sinagoga il sabato; il primo recitava le preghiere in latino, il secondo in ebraico, entrambi senza comprendere una parola delle rispettive ‘lingue religiose’. Per il resto non vedeva molte differenze tra gli uni e gli altri, se non le diverse festivitá e l’obbligo d’indossare la divisa scolastica in giornate prestabilite. Finita la terza elementare Cesare chiese ai genitori di poter cambiare scuola; voleva lasciare quella ebraica e frequentare quella pubblica per il semplice motivo che, così, si sarebbe ritrovato in una classe più numerosa, con più amici con cui poter giocare. Ma il 3 settembre 1938, quando aveva solamente otto anni, andó ad acquistare il quotidiano per il padre e sulla prima pagina non poté fare a meno di leggere una frase: “Insegnanti e studenti ebrei esclusi dalle scuole governative e pareggiate”. Rimase colpito da quelle parole, ma il pieno significato lo comprese solamente qualche giorno dopo quando si recó, come d’abitudine, al parco Massari per incontrare gli amici. Ad una ad una le madri allontanarono i propri figli da Cesare e lui si ritrovò completamente solo. “Riuscite ad immaginare come può sentirsi un bimbo nel vedersi portar via tutti gli amici e sapere di essere la causa di quell’abbandono?” ha chiesto Cesare agli studenti dell’Einaudi durante il suo ultimo incontro. Dovette quindi proseguire i suoi studi alla scuola ebraica, ma da quel giorno smise di sentirsi come i suoi coetanei. Quel giorno la sua vita cambiò. Ogni ebreo fu in un certo senso costretto a “condannare” se stesso: era necessario compilare un documento in cui si dichiarava di essere ebrei. Provate ad immaginare il dolore di un genitore costretto a mettere nero su bianco che il proprio figlio appartiene ad una razza considerata inferiore. Quelle persone vennero bollate così che, quando la “caccia all’ebreo” divenne spietata, nessuno potesse sfuggire ai rastrellamenti. Paradossale è che il padre di Cesare fu uno dei primi fascisti italiani e combattè per l’Unità d’Italia. Già nel 1923 però cancellò il suo nome dal Partito perchè intuì che le cose sarebbero cambiate.

Tra le assurdità delle leggi italiane ve ne era una che stabiliva che gli studenti ebrei dovessero frequentare la scuola ebraica, ma sostenere l’esame di stato alla scuola pubblica, insieme agli altri studenti cattolici. Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra e Cesare si recò, assieme al suo caro amico Nello Rietti, a dare l’esame di quinta elementare. Mussolini fece installare altoparlanti in ogni angolo della città, cosicché tutta la popolazione potesse ascoltare il suo discorso. Due frasi rimasero a Cesare molto impresse: “Vincere, e vinceremo” e “A me servono poche centinaia di morti per sedermi al tavolo dei vincitori”. Quest’ultima frase lo fece raggelare e lo pose davanti ad un grande dilemma: “Sono italiano e dovevo sperare che l’Italia vincesse, ma se così fosse stato le leggi razziali sarebbero rimaste. Dovevo quindi sperare che il mio stesso Paese venisse sconfitto?” ha domandato agli studenti, rapiti dal suo racconto.

Nonostante al tempo la scuola dell’obbligo terminasse con la quinta elementare, Cesare proseguì i suoi studi, sempre alla scuola ebraiaca di via Vignatagliata. Giorgio Bassani fu il suo professore di italiano e latino, che lui ricorda come un insegnante straordinario. Dopo i tre anni di scuola media si recò nuovamente alla scuola pubblica per sostenere l’esame finale. Quel giorno però, mentre il preside leggeva i nomi degli studenti in ordine alfabetico per accertarsi che fossero tutti presenti, il nome di Cesare e quello del caro amico Nello Rietti non si udirono. Dopo lunghi minuti di attesa i due nominativi vennero trovati nel retro dell’ultimo foglio, scritti in piccolo nell’angolo. “Nemmeno i nostri nomi potevano stare con quelli degli altri” racconta Cesare con afflizione e tristezza. Vennero così fatti sedere dal preside in fondo all’aula, ma la professoressa pensò fosse una scelta dei due studenti, così da potersi aiutare a svolgere l’esame. Quando domandò loro perchè si fossero isolati da tutti gli altri, Cesare rispose: “Siamo stati messi qui perché siamo ebrei”. Nell’aula scoppiò il caos: i due amici ricevettero fischi ed insulti dai loro stessi compagni. L’insegnante li spostò così in prima fila, affermando “Tanto non attaccherete la malattia”. Parole forti, accusatorie, dolorose, ma che nella sua tenera ingenuità, Cesare non comprese. Domandò allora a quale malattia ci si riferisse e la maestra, stupita, rispose: “Ma come, voi ebrei non avete la coda?” Una donna di cultura, laureata, un’insegnate di scuola media credeva ad uno dei tanti e stupidi pregiudizi del tempo, come quello che sosteneva gli ebrei fossero mezzi-animali. Nonostante tutto Cesare venne promosso a pieni voti e proseguì gli studi fino al conseguimento di una laurea in medicina, mentre per il caro amico Nello fu tutto inutile: morì a Buchenwald nell’aprile del 1945.

La disavventura dell’esame era stata per Finzi solamente l’inizio di una serie di tragedie.
Il 25 luglio del 1943 il Gran Consiglio dei Ministri, quello stesso organo che 5 anni prima aveva deciso che i ragazzini ebrei come Cesare non potevano frequentare la scuola pubblica, mise Mussolini in minoranza. L’8 settembre l’Italia firmò l’armistizio, ma la guerra continuò. Vennero imposte le leggi razziste tedesche, molto più rigide di quelle italiane perchè colpivano chiunque venisse classificato come “diverso”. Sulla testa di ogni ebreo pendeva una taglia, di conseguenza chiunque aveva interesse a denunciare uno di loro perchè in cambio avrebbe ottenuto un premio in denaro. Ciò che spinse la famiglia Finzi a fuggire fu la notizia della cattura dei loro parenti di Bolzano, tra cui la cuginetta Olimpia, di appena tre anni. Solo 30-40 anni dopo seppero che erano stati deportati in Austria in un campo di concentramento, poi ad Auschwitz, da cui non fecero ritorno.
Se Cesare è sopravvissuto è perchè ha avuto la fortuna di incontrare persone che hanno aiutato lui e la sua famiglia. Fuggiti da Ferrara hanno trascorso la prima notte a Ravenna dove, un conoscente dello zio di Cesare, li ospitò nella sua casa e per un anno li protesse (erano in 10, 4 adulti e 6 bambini). Se quell’uomo, il signor Muratori, li avesse denunciati, avrebbe guadagnato una somma di denaro enorme, per quell’epoca. Il giorno seguente proseguirono il viaggio e trovarono rigufio a Gabicce Mare. Quì un uomo, di cui Cesare non conobbe mai nè il volto nè il nome, li aiutò senza volere nulla in cambio. Procurò loro carte d’identità (con nomi falsi e senza il timbro di appartenenza alla razza ebraica) e la tessera annonaria, necessaria prima di tutto per ottenere generi alimentari. Purtroppo però a Gabicce i membri della famiglia Finzi erano conosciuti con i loro veri nomi; furono così costretti a fuggire nuovamente e arrivarono a Mondaino, un piccolo centro vicino a Rimini. Quì vissero mescolandosi con la popolazione locale, imparando a fare il segno della croce, andando in Chiesa e recitando l’Ave Maria. Presto però la popolazione civile fu allontanata da Mondaino e dovette attraversare la linea del fronte. Finirono nella cosidetta terra di nessuno: “le bombe che non cadevano sugli inglesi o sui tedesci, cadevano su di noi” racconta Cesare, con gli occhi lucidi per il dolore del ricordo. Una di quelle bombe colpì il piede del fratello e la situazione divenne drammatica. Dovevano a tutti i costi rischiare di attraversare la linea del confine per cercare aiuto. Cesare, quattordicenne, camminò così per 13 chilometri con il fratelllino di nove anni sulle spalle. Tornarono a Mondaino, liberata dalle truppe anglo-americane, e lì trovarono un ospedale da campo che poteva però curare solamente i feriti e i malati dell’esercito. Ancora una volta, nella tragedia che stavano vivendo, ebbero un colpo di fortuna. Un medico, capitano dell’esercito nemico, rischiò la sua vita e la sua carriera per salvare la vita di un bambino. Operò il fratello di Cesare da sveglio, senza alcun tipo di anestesia. “Ho fatto il medico, di operazioni ne ho viste tante, ma quell’intervento non lo scorderò mai”, così Cesare rammenta quel giorno infernale.

Finalmente la famiglia Finzi era libera, ciascun membro potè riprendere il proprio vero nome. Solamente dopo il 25 aprile 1945 fecero ritorno a Ferrara dove ritrovarono la loro casa e il negozio del padre. Cesare frequentò il liceo scientifico di Rimini, poi il Roiti di Ferrara, dove incontrò compagni meravigliosi che lo accolsero senza alcun pregiudizio. Cesare Moisè Finzi, 85enne dal volto rigato da delicate rughe, una voce dolce e piena di dolore, ha deciso di parlare ai giovani perchè in loro vede la speranza. Finito il racconto della sua vita, uno studente gli ha domandato quale fosse stato per lui il momento più difficile. Senza esitazione Cesare ha raccontato l’orrore del momento in cui durante il passaggio del fronte vedeva le bombe esplodere intorno a lui e ai suoi famigliari. Quel giorno però si aggrappò alla speranza di trovare un rifugio e mettersi in salvo. Ma niente è stato tragico e doloroso come il ritorno a casa, scoprire tutto ciò che era successo e perdere completamente la fiducia nell’Uomo. Se oggi Cesare è ancora vivo è grazie a tutte quelle persone che ha incontrato lungo il suo cammino e che hanno rischiato la vita per difendere chi al tempo era considerato il “nemico”. Ecco perchè serve la speranza; questa lui la ripone nei giovani d’oggi e li invita, con la voce rotta dal pianto, a combattere per la ragione, la giustizia e l’umanità.

L’intelligenza connettiva

L’intelligenza, intesa nelle sue varie declinazioni, si sviluppa in un contesto sociale, caratterizzato dal dialogo e dall’interazione. Il linguaggio è stato un fattore evolutivo importante proprio perché ha consentito alla specie di stabilire una coesione comunicativa, sia emozionale che cognitiva. Attraverso il linguaggio scambiamo informazioni, sentimenti, memorie, esperienze e pensieri che consentono di interagire con gli altri. L’insieme di questi scambi costituisce la cultura. Attraverso il linguaggio ci coordiniamo, anche se non sempre efficacemente, a dire il vero. Alcuni insetti, come le formiche, le api, gli stormi di uccelli, sono dotati di meccanismi biologici per il coordinamento, meccanismi che sono studiati da coloro che si occupano di intelligenza artificiale.
Le connessioni consentite da Internet fanno compiere un enorme passo avanti alla nostra capacità di coordinare informazioni. Chi ha visto il film “The imitation game”, sulla macchina di Alan Turing ha avuto, in una forma (un po’ troppo) romanzata, il senso di come un essere umano, per quanto intelligente, non sia in grado di processare il numero di informazioni di una macchina che calcola. Ora siamo molto oltre i risultati dei primi anni Quaranta, la scienza dei Big Data elabora le tracce che lasciamo in rete e consente di costruire modelli di previsione sofisticati in molti campi, dal traffico all’epidemiologia.
Le informazioni ricevute e scambiate permettono azioni che richiedono coordinamento e sincronismo e che nessun essere umano da solo è in grado di compiere. Una grande serie di attività in rete si basano sulla cooperazione creativa degli utenti che contribuiscono a produrre conoscenze, per effetto di apporti minimi, ma costanti e di una continua interazione. Le connessioni che si producono, al pari delle sinapsi cerebrali, si rafforzano grazie alla ripetizione di singole attività e dei legami che queste instaurano. Si può ipotizzare, allora, che Internet contribuisca a formare un’intelligenza connettiva che scaturisce proprio dalla densità degli scambi e delle comunicazioni? Si può immaginare che contribuisca a produrre capitale sociale, vale a dire risorse scaturite dalle relazioni e spendibili nella vita individuale e collettiva?
Affermare questo non significa ignorare le forme oscure che la densità comunicativa della rete propone: le nuove diseguaglianze digitali, le asimmetrie di potere, il peso di influenze, o la trappola della personalizzazione, per cui Google costruisce attorno a noi bolle personalizzate che ci offrono un mondo su misura, un universo che gira intorno alle nostre scelte per inviarci le informazioni su cui siamo d’accordo.
Ma, obiettivamente, avanza un meccanismo di interdipendenza nelle nostre scelte. Ciò che desideriamo e facciamo è sempre più correlato a ciò che desiderano e fanno gli altri. Soprattutto le nostre scelte vengono compiute in uno scenario costantemente mobile. È questo il senso della metafora delle formiche che abbiamo di recente proposto per ragionare sulle dinamiche della scelta nell’ambiente del web, con il libro che presenteremo al Senato il 12 marzo, ore 11-13 (M. Franchi, A. Schianchi, “L’intelligenza delle formiche. Scelte interconnesse”, Diabasis).

Maura Franchi – Laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi. Studia i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

maura.franchi@gmail.com

IMMAGINARIO
Sorsi di musica.
La foto di oggi…

Bere un bicchiere ascoltando musica di qualità: è questa l’idea delle serate del lunedì organizzate dal Jazz club Ferrara. Ingresso libero, sempre per i soci del circolo Endas, questa sera nel Torrione di San Giovanni. E’ l’appuntamento dedicato ai giovani talenti del jazz italiano, della sezione “Happy Go Lucky Local”. In scena il Francesco Ponticelli quartet: un contrabbassista creativo accompagnato da Enrico Zanisi al pianoforte, Enrico Morello alla batteria e Dan Kinzelman a sax tenore e clarinetti. Aperitivo a buffet con dj set a cura di Andreino Dj a partire dalle 20. Concerto alle 21.30 e jam session alle 23. In via Rampari di Belfiore 167.

OGGI – IMMAGINARIO JAZZ

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic su ogni foto per ingrandirla]

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Aperitivo con buffet il lunedì sera al Jazz club Ferrara (foto Giorgia Mazzotti)
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Un brindisi speciale con Ugonna Okegwo al Torrione di San Giovanni (foto Giorgia Mazzotti)
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Francesco Ponticelli stasera al Jazz club Ferrara

 

ACCORDI
Have a nice day.
Il brano di oggi…

Ogni giorno un brano intonato a ciò che la giornata prospetta.

[per ascoltarlo cliccare sul titolo]

bon jovi have a nice day (2 Bonus Tracks) 2005Bon Jovi – Have A Nice Day

Nasceva oggi nel 1962 Jon Bon Jovi, uno dei più famosi artisti del rock mondiale e dal 1984 a capo della celebre band Bon Jovi. Il brano Have a nice day, tra i più apprezzati della band, è contenuto nell’omonimo album del 2005.

“Il mondo continua a provarci, ad abbattermi
devo alzare le mie mani per stare in piedi 
beh io dico buona giornata, buona giornata! 
Buona giornata, buona giornata!”

GERMOGLI
Guardare il cielo.
L’aforisma di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

Tendzin-Gyatso-2Buon inizio di settimana a voi che, siamo sicuri, guardate bene il cielo.

“Nessuno è nato sotto una cattiva stella; ci sono semmai uomini che guardano male il cielo”. (Tenzin Gyatso)

L’IDEA
I fuochi della passione e della legalità

Un’industria chimica che ha avviato la produzione di detergenti in eco-dosi idrosolubili e completamente eco-compatibili e un consorzio di cooperative sociali che, attraverso la cultura dell’inclusione e della legalità, mira alla creazione di lavoro dignitoso per le persone in difficoltà.
Sono Cleprin e NCO-Nuova Cooperazione Organizzata e hanno più di una cosa in comune: entrambe hanno sede nella provincia di Caserta, entrambe sono emblemi della legalità in quel territorio, entrambe pensano che il modo migliore per combattere la camorra sia un percorso di riappropriazione e rigenerazione del territorio campano attraverso la creazione di un sistema economico legale ed etico come antidoto all’economia criminale.

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Prodotti etici contro le mafie

Ieri mattina nella sede dello show-room di AltraQualità in via Toscanini a Ferrara, Antonio Picascia, amministratore delegato Cleprin, e Simmaco Perillo di NCO hanno raccontato, oltre ai propri prodotti, la storia di un progetto di riscatto per un intero territorio che li porterà addirittura a Expo 2015, con il progetto “We are”.

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Antonio Picascia

Antonio ha cominciato raccontando i tentativi prima di infiltrazione nella Cleprin e poi di estorsione da parte del clan di Sessa Aurunca, affiliato ai Casalesi. Aver scelto la propria dignità e la propria libertà di imprenditori denunciando l’accaduto alle forze dell’ordine ha significato un cambiamento radicale: “15 Km separano la Cleprin dalla stazione dei Carabinieri di Mondragone, ma mentre percorrevo quella breve distanza mi rendevo conto che non stavo attraversando solo uno spazio fisico, stavo lasciando la vita come l’avevo condotta fino ad allora, senza conoscere la camorra”. Antonio sottolinea che quello è stato un cambiamento in meglio perché ha incontrato “persone capaci, professionisti, uomini sensibili”, a cominciare dai Carabinieri fino ad arrivare a Raffaele Cantone, allora procuratore della Dda di Napoli. Antonio racconta che, contrariamente a quello che spesso si sente dire, “io ho verificato che lo Stato era presente e efficace, era la società civile a essere assente: io e il mio socio ci siamo trovati nella più profonda solitudine”. Ma è stato un’altro cambiamento in meglio, anche perché da allora, era il 2007, è cominciata la sua storia di “impegno sociale e civile che mi fa stare in pace con la mia etica e con la mia coscienza e questo mi fa lavorare meglio”, senza contare che ha incontrato Simmaco e tante altre persone impegnate sul fronte della legalità. Certo, esiste anche il rovescio della medaglia: denunce anonime per presunte problematiche inerenti l’attività aziendale e nell’agosto del 2010, per un mese intero, lo sversamento di percolato davanti all’azienda.
Il problema però, sottolinea Antonio, non sono loro, ma le persone comuni che dicono “era proprio necessario tutto questo?”. Anche da qui nasce il percorso con Simmaco e NCO per scalfire questo modo di pensare e di agire e creare quelle condizioni che permettono alle persone “di affrancarsi e non essere soggette al clientelarismo”.

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Antonio Picascia e Simmaco Perillo

E sul tema della possibilità di un riscatto torna anche Simmaco: un riscatto che parte dal far conoscere il “movimento di resistenza che esiste in provincia di Caserta da più di 30 anni”, “gli sforzi che si fanno e da dove nascono”, poco raccontati perché fanno molta più audience la “bruttura”, la “monnezza” e “il morto ammazzato”. Quello di Simmaco è l’orgoglio di chi tiene alla propria terra e quindi denuncia il sistema della criminalità organizzata, ma il giorno dopo, partendo da quella stessa terra e dalle sue contraddizioni, propone delle soluzioni per andare oltre, per dare a chi ci abita una possibilità di scegliere una strada diversa dall’illegalità. Anche lui afferma che il problema non è più, o non è tanto, l’organizzazione militare, ma il sistema culturale e le forti connessioni con il sistema economico legale, il che significa che “ognuno di noi la mattina si alza e ha a che fare con questa gente” andando al lavoro. Per questo l’antidoto è “un’economia sociale, una proposta economica solida, concreta, efficace” e nello stesso tempo basata sulla qualità e su valori etici e sociali.
Accanto a questo c’è il cambiamento da provocare a livello culturale. L’idea di entrare e riutilizzare i beni confiscati nasce dall’idea di farli diventare simboli di qualcosa di diverso dal potere mafioso: “ce l’abbiamo fatta”, oggi sono diventati centri di incontro e di elaborazione di una nuova cultura. E una cultura ha bisogno di parole, per questo Simmaco afferma con forza “riprendiamoci i termini”, togliendoli alla camorra per “rigenerarli”: da qui l’idea di chiamare il consorzio delle cooperative NCO, lo stesso acronimo di quella Nuova Camorra Organizzata che negli anni ’70 e ’80 ha segnato una svolta nella storia criminale del casertano.

 

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Pacco di prodotti anti-mafia

Dal 2012 Nco significa Nuova Cucina Organizzata, Nuovo Commercio Organizzato e Nuova Cooperazione Organizzata, perché “ la parola è oggetto di cambiamento e se ognuno di noi utilizza le parole giuste veicola il cambiamento”. “Proviamo insieme ad alimentare il cambiamento”, è l’appello finale di Simmaco. Ha ragione Simmaco: bisogna riappropriarsi delle parole e trovare il modo di usarle a vantaggio del territorio. E allora riutilizziamo l’ormai stereotipata definizione di “terra dei fuochi”, perché nel casertano a bruciare non sono solo i cumuli di rifiuti tossici illegalmente sversati nelle campagne del casertano, ma anche la passione che anima persone come Antonio e Simmaco e chi lavora con loro, tante scintille che giorno per giorno cercano di innescare nel proprio territorio e nella società civile il fuoco della legalità.

Alcune foto dell’incontro, clicca sull’immagine per ingrandirla.

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L’EVENTO
Al Festival Lgbt stereotipi, pregiudizi e voglia di normalità: l’orizzonte pubblicitario dell’omosessualità

Incalzano gli incontri di Tag, il festival di cultura Lgbt che si sta svolgendo in questo fine settimana alla Sala Estense. Incontri e spettacoli su temi fondamentali non solo dell’identità sessuale Lgbt, ma dell’intera società.

Venerdì con intelligente ironia, Rita de Santis, una mamma dell’associazione delle famiglie con figli omosessuali, ha raccontato come la maggior parte dei coming out avvengano a tavola, e le reazioni siano le più disparate, dall’abbuffata all’abbandono del desco. E Chiara Reali del progetto Le cose cambiano, ha chiarito una volta per tutte la differenza tra outing, ovvero quando gli altri rivelano che una persona è omosessuale, e coming out ovvero quando è la persona stessa ad annunciarlo.

Sabato invece, dopo un incontro che ha contribuito a fare chiarezza sull’iter legislativo in materia di diritti delle persone omosessuali in Italia, e di cui abbiamo parlato qui (http://www.ferraraitalia.it/levento-festival-lgbt-i-miei-figli-hanno-gli-stessi-doveri-ma-uno-non-ha-gli-stessi-diritti-36719.html) c’è stato un incontro, dal titolo “Le nuove famiglie italiane della pubblicità”

“La presenza di omosessuali nelle pubblicità è spesso strumentalizzata, per cui quello che da pubblicitaria posso dire è di evitare manipolazioni. C’è un eccesso di estetica nelle pubblicità che ritraggono coppie dello stesso sesso. Il rischio dell’utilizzo di queste storie negli spot rischia di avere un carattere ideologico ed estetico e non di normalità”.

“Il punto centrale è proprio quello della normalità. Noi abbiamo 42 milioni di visitatori nei punti vendita che abbiamo in Italia, la coppia gay o lesbica è la normalità, per cui altrettanto normale per noi è rivolgerci a loro nei nostri spot”, ha confermato Valerio di Bussolo di Ikea, riferendosi alla campagna pubblicitaria gay friendly dell’azienda svedese per la casa, che ha suscitato le ire di Giovanardi.

“In verità non è la normalità che dobbiamo inseguire, ma la naturalità. Inoltre bisogna fare una differenza tra utilizzo e sfruttamento”, ha poi corretto il tiro Fulvio Zendrini, esperto di comunicazione per Gf Group, “a me non interessa lottare per la normalità, ma per le differenze, che sono più importanti”.

“Ci sono pubblicità irrilevanti, altre dannose, alcune però, possono cambiare un po’ le cose, penso ad esempio alla bellissima campagna di Dove, Real beauty, che rivede il classico concetto di bellezza femminile e mostra donne di ogni età e fattezza. Non si può però chiedere alla pubblicità ciò che non può fare, ovvero delle sofisticate analisi della realtà sociale, ma le si può chiedere di essere un fattore di sviluppo e non di arretratezza. La pubblicità lavora sugli stereotipi, perché è la nostra mente per prima che lo fa. Noi mettiamo insieme delle idee del mondo che ci aiutano a prendere decisioni rapide nella vita quotidiana. Il problema non è lo stereotipo, ma il pregiudizio, cioè lo stereotipo che si fossilizza in una visione del mondo che non si confronta con la realtà dei fatti. Purtroppo la pubblicità tende a consolidare pregiudizi brutti e stupidi sulle persone. Invece lavora bene quando usa gli stereotipi come strumenti narrativi e non come vincoli. La creatività nasce dalla diversità, per questo va difesa”.

“In effetti noi possiamo aiutare un cambiamento, ma non determinarlo. All’Ikea io posso dare le ore di congedo ad un dipendente per andare a trovare il suo compagno in ospedale, però poi all’ospedale non lo fanno entrare perché i due non sono riconosciuti come parenti. Qui è dove noi ci fermiamo e deve intervenire lo Stato”.

“Ma io penso che questo cambiamento sia in atto, sta cambiando il mito degli anni ’80, dove gli esempi erano personaggi alla Fabrizio Corna o Silvio Berlusconi, per intenderci. Oggi il mito è: la mia vita è bella, ovvero la bellezza della raggiungibilità delle cose”.

Dopo questa bella lezione di comunicazione e marketing che è andata molto al di là dello spunto iniziale legato all’omosessualità, dal pubblico una domanda riporta però al tema del festival: la parità. E allora perché negli spot ci sono sempre coppie gay e quasi mai lesbiche?
La risposta degli esperti è che la pubblicità cerca il paradosso per cui effusioni tra uomini fanno più impressione di quelle tra donne, che invece sono più frequenti, anche tra amiche. Ma rimane anche strisciante il sospetto che forse una donna che rinuncia completamente agli uomini sia più difficile da accettare di un uomo che tutto sommato sceglie un altro uomo. Chissà, il quesito rimane aperto.

Ma non c’è tempo per farsi troppe domande che sul palco della sala Estense, già arriva Mario Venuti, a presentare il suo ultimo album “Il tramonto dell’Occidente” scritto a sei mani con Bianconi dei Baustelle e Kaballà.

“Questa volta non parlo d’amore, ma mi metto alla finestra e guardo fuori”, il cantante siciliano racconta così questo nuovo lavoro, con molte implicazioni sociali, ed è questo il motivo per cui gli organizzatori del festival hanno voluto la sua presenza.
Sono storie di periferia, come quella di Scampia che si vede nel video del singolo Ventre della città.
“E’ il tentativo di capire cosa siamo, dove stiamo andando, in mezzo a certezze che si stanno sgretolando”.
Come reagire a questo declino?
“Reimpostando un sistema di valori”, dice Venuti, “questo momenti difficile deve diventare un’opportunità, anche se ho la sensazione che noi siamo assolutamente controcorrente e la tendenza sia ad un non pensiero, se fai pensare sei messo da parte. L’insostenibile leggerezza dei testi di Sanremo mi ha colpito molto, sentimentalismo bieco e campato in aria ha pervaso tutte le canzoni”.

“Se ti senti contro tendenza, sei nel posto giusto” ha scherzato Salvo di Arcigay che lo stava intervistando.

E questo ha dato il là a Venuti per un racconto personale.
“Un mio amico insegnante aveva fatto richiesta per insegnare all’estero e ha ricevuto una proposta da Asmara in Eritrea. Lui si è sposato con un ragazzo cileno a Madrid, e una volta là, stava facendo in modo che il suo compagno avesse i documenti per raggiungerlo. Un giorno è stato chiamato dal preside e si è trovato due militari armati che gli hanno intimato di lasciare la nazione entro 36 ore. Il motivo, anche se non dichiarato era la sua unione gay. Lui si è rivolto all’ambasciatore, e il Ministero della pubblica istruzione, cioè lo Stato italiano, non ha fatto nulla, non lo ha difeso, ha perso il lavoro ed è dovuto tornare in Italia”.

Poi ci è voluta un po’ di musica per riportare il sorriso tra i presenti, con la consapevolezza che molto c’è ancora da fare per ottenere la parità di diritti in questo paese.

Il festival prosegue fino a questa sera.
Qui il programma

Fotoservizio di Stefania Andreotti

Tag, festival di cultura Lgbt (foto di Stefania Andreotti)
Tag, festival di cultura Lgbt (foto di Stefania Andreotti)
Tag, festival di cultura Lgbt (foto di Stefania Andreotti)
Tag, festival di cultura Lgbt (foto di Stefania Andreotti)
Tag, festival di cultura Lgbt (foto di Stefania Andreotti)

Comunicato stampa da Unpli Ferrara – Unione delle 31 Pro Loco ferraresi

da: ufficio stampa Unpli Ferrara

Dopo le elezioni a Madonna Boschi del Presidente di Unpli provincia di Ferrara  Dr Enzo Barboni e del Consiglio la prima riunione operativa delle 31 Pro Loco ferraresi si è tenuta a Copparo a palazzo Zardi sabato 28 febbraio scorso.

Un ordine del giorno nutrito, con una breve relazioni del nuovo presidente e alcune nomine previste dallo statuto. Il vicepresidente, Antonio Conficconi di Argenta, il segretario generale Gianni Avanzi di Mesola, il tesoriere Riccardo Pocaterra di Ambrogio, il controller-revisore Claudio Mancin. Tra gli incarichi di settore per scuola e cultura: Gabriele Pavani di Copparo; per sagre-fiere ed eventi: Toschi Edgardo di Bova di Marrara; per I turismi: Tiziano Argazzi di Portomaggiore; incarichi speciali: Daniele Rubino di Cento.

Inoltre si sono costituiti cinque distretti Unpli, sul perimetro dell’Unione dei Comini della nostra provincia, e cioè: Distretto est / sud / nord / centro e ovest con coordinatori e consiglieri delegati che dovranno adempiere ad alcune funzioni delegate e una sede territoriale con uno sportello infopoint.

Tra i punti più significativi sono stati richiamati: 1. una nuova riorganizzazione dell’Unione;  2. la sede sociale al Castello estense di Mesola ,ospiti di proloco Mesola con una adeguata struttura amministrativa; 3. una prima stesura di accordi e collaborazioni; 4. servizi di sostegno alle 31 Pro Loco con iniziative itineranti di prolocoArtisti, di prolocoAmbiente, dei caffe di proloco per la cultura,  oltre a corsi di formazione e a seminari di settore.

Sono, infine, stati avviati, alcuni incontri e colloqui con istituzioni, agenzie di sviluppo, associazioni culturali ed ambientali, sistema delle biblioteche, oltre ad altre in programma con enti e stakeolders, affini alle finalità delle Proloco e cioè con la mission: promuovere, valorizzare ed animare i territori.

Il presidente Barboni ha dichiarato che incontrerà tutte le Pro Loco ferraresi e che la divisione funzionale ed organizzativa dei cinque distretti favorirà il rilancio del sistema ferrarese delle proloco.

Con  questa  efficiente rete nei territori, conclude il presidente, si sta già riscontrando  positive e nuove attenzioni: dalla presenza di Unpli all’expò di Milano 2015 con il progetto Po, al Misen alla fiera di Ferrara 11 e 12 aprile prossimo, oltre ad una ritrovata centralità delle 342 proloco dell’emilia romagna nel servizio al turismo e alla cultura nei tanti volti dei nostri localismi tra destra po, via emilia, la costa e gli appennini.

Si prevedono, almeno, la costituzione di altre sei Pro Loco entro l’anno, alcune rievocazioni storiche, premi letterari, spazi giovani, attività enogastronomiche sulle tipicità dei prodotti e gusti locali e  gran galà nelle delizie, palazzi e ville rinascimentali e oltre.

 

IL FATTO
Michele Cortese vince il Festival di Viña del Mar e conquista il Sudamerica

Lo avevamo intervistato due mesi fa [vedi], di ieri la notizia che Michele Cortese ha vinto due importanti premi al Festival di Viña del Mar in Cile, il più importante del Sudamerica, una porta d’oro aperta sul mercato dell’intero continente, che ogni anno può contare su circa 500 milioni di telespettatori. Cortese è stato selezionato, per la competizione internazionale, tra ben 1.200 candidati, unico rappresentante europeo su un totale di sei finalisti, e ha vinto come migliore canzone (nella gara internazionale) e migliore interpretazione, con il brano “Per fortuna” di Franco Simone, arrangiata da Alex Zuccaro, un brano con tinte rock che ha subito attirato l’attenzione della giuria del Festival, di cui faceva parte anche Pedro Aznar, uno dei musicisti più stimati al mondo, noto per la sua carriera solista e per l’attività svolta nel Pat Metheny Group.
Tra lo stupore generale, Cortese ha cantato parte della canzone in perfetto spagnolo, utilizzando il testo che gli aveva scritto Franco Simone pochi giorni prima della sua partenza per il Cile.
La stampa cilena ha evidenziato il buon livello delle canzoni e degli interpreti della gara internazionale e di quella etnica, sottolineando favorevolmente la scelta della canzone italiana “Per fortuna”, come vincitrice e rendendo il giusto merito anche a Franco Simone, un autore e un interprete molto popolare da quelle parti. Secondo la rivista cilena “La Segunda”, la canzone vincitrice del Festival è una delle migliori degli ultimi 15 anni perché possiede lo spessore, l’inciso, la melodia e il romanticismo: “… dije desde un comienzo que era de las mejores canciones que habían sonado en la competencia en la última década, porque en al menos 15 años no hemos tenido una para recordar. Y esta tiene el tamaño, el coro, la melodía, el romanticismo”.
Michele Cortese ha pubblicato pochi mesi fa l’album “Vico Sferracavalli 16”, seconda opera solista dopo “Il teatro dei burattini” (2011). Il singolo “La questione”, di cui è autore insieme a Francesco Gazzè, è accompagnato da un video recentemente premiato al Premio Roma Videoclip 2014. In precedenza, insieme al gruppo Aram Quartet, aveva vinto la prima edizione di X-Factor (2008).
Nei prossimi giorni, Michele Cortese sarà protagonista, insieme a Franco Simone e al tenore Gianluca Paganelli, di “Stabat Mater”, l’opera rock sinfonica composta da Simone sul testo originale attribuito a Jacopone da Todi. Il 6 marzo l’opera sarà rappresentata nella Basilica di San Lorenzo a Firenze, mentre il 2 aprile è in programma al Teatro Romolo Valli di Reggio Emilia.

La premiazione su YouTube [vedi]
Viedo clip ufficiale [vedi]
L’articolo su Stabat Mater pubblicato su ferraraitalia [vedi]

SETTIMO GIORNO
Renzi e Berlusconi, gioco di coppia

Il PATTO CHE NON C’E’ – Poveri illusi. Parlo di tutti coloro che si aspettavano e si aspettano ancora che Renzi litighi, o faccia finta di litigare com’è successo finora con il suo maestro Berlusconi, lo sketch fra i due ha e avrà tempi lunghi, una sola cosa non ho capito, chi dei due sia la spalla dell’altro. Chi è Totò e chi è Pappagone, cioè Peppino De Filippo? Il fatto è che, come nella migliore tradizione della commedia dell’arte, i due si scambiano abilmente le parti quando sono sul palcoscenico, un giorno Totò, un giorno Pappagone. Dice: ma il “patto del Nazareno”? Tranquilli, non è mai esistito, non esiste una carta, una sorta di contratto, che so, un pizzino, un promemoria, non c’è, esiste soltanto nella mente dei due attori, i quali pare abbiano raggiunto un solo accordo: terminare l’operazione dettata da Licio Gelli (P2) con il “Piano di rinascita nazionale” del 1978, dopo l’uccisione di Aldo Moro. Finora è andato tutto liscio per gli attori della commedia, che non finisce qui. Un esempio? Battuta di Renzi quindici giorni fa: devo sistemare la Rai. La spalla risponde: compro la Rai. Replica di Renzi: Ma non più del 51 per cento. E così si privatizza uno dei settori chiave della democrazia moderna. Non è tutto: Berlusconi ha già dato inizio al piano per diventare il monopolizzatore dell’informazione, avviando l’acquisto della Rizzoli e accorpandola alla sua Mondadori, che significa mangiare i quotidiani e i settimanali più importanti dell’Italia. Il signore di Segrate vuole tornare da padrone in Parlamento, gli manca il lasciapassare della magistratura. Come fare? Intanto, si ricorre alla filosofia di Licio Gelli, si responsabilizza il giudice. Chi mai potrà più incriminare, o soltanto non assolvere un uomo il quale può inchiodare un magistrato a pagare milioni di euro dichiarandolo civilmente responsabile? No, c’è del marcio in Danimarca, diceva Shakespeare, tutto è stabilito, preconfezionato. A noi cittadini non rimane che conoscere, giorno per giorno, i paragrafi di un patto che ci è stato tenuto gelosamente nascosto. Anche perché non è mai stato scritto: il patto c’è, ma è un patto orale i cui capitoli sono conosciuti da due sole persone. A qualcuno non piace? “Io vado avanti”, dice l’attore. Vai, risponde la sua spalla. Questa è democrazia

BUROCRATI – Rapidissima comunicazione ai signori burocrati dipendenti da Stato, Regioni, Comuni, Banche etc.: per favore non diteci più che la burocrazia di cui siete padroni è stata resa agile, anzi, dal momento in cui, solennemente, è stato detto ai cittadini che era cominciato lo snellimento della burocrazia, la medesima (burocrazia) è diventata ancor più impraticabile, vergognosamente antiquata, inadeguata, irresponsabile. Chi crede il contrario vada pure, a suo rischio e pericolo, in un ufficio pubblico: verrà burocraticamente respinto, ma dovrà riempire un modulo…

I sei personaggi da Nobel

STANDING OVATION: I PIU’ ACCLAMATI SPETTACOLI TEATRALI DEL XXI SECOLO
“Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello, regia di Carlo Cecchi, Teatro Comunale di Ferrara, dal 15 al 19 dicembre 2004

E siamo all’ultimo spettacolo del 2004 per la stagione di prosa, che riprenderà nella seconda metà di gennaio del 2005. È il celeberrimo “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello a chiudere l’anno teatrale del Teatro Comunale. Luigi Pirandello (1867-1936), premio Nobel nel 1934, drammaturgo e narratore, dopo l’esordio con romanzi di ambito ‘veristico’, approfondì nel corso della sua opera narrativa e soprattutto drammaturgica il tema dell’uomo isolato in una realtà a cui egli è fondamentalmente estraneo. “Sei personaggi in cerca d’autore”, composto dal maestro nel 1922, appartiene al suo filone detto del ‘teatro nel teatro’ e, al debutto in scena, venne sonoramente fischiato dal pubblico e maltrattato dalla critica, prima che ne fosse compresa la tematica della dicotomia persona/personaggio e considerato quel capolavoro che in effetti è.
La vicenda dei “Sei personaggi…” è abbastanza complessa. In teatro una compagnia di attori sta provando svogliatamente “Il gioco delle parti”, altra commedia di Pirandello; d’un tratto si presentano sul palcoscenico sei ‘personaggi’ (si badi bene, e non attori-persone che interpretano personaggi), rifiutati e lasciati incompiuti dal loro autore. I personaggi chiedono al regista di rappresentare almeno una volta la loro storia, affinché si realizzi compiutamente la loro esistenza; ma il problema nasce quando il regista pretende di inscenare la loro vicenda facendone interpretare le parti agli attori della sua compagnia, incapaci di diventare, di ‘essere’ davvero i protagonisti di quei ruoli. Fra i due gruppi: gli attori e i personaggi, si evidenzia una distanza incolmabile, nei primi infatti scorre la mutevole vita, mentre i secondi sono sorta maschere immutabilmente fissate nella parte per cui l’autore li ha creati.
L’allestimento è diretto da Carlo Cecchi, affermatissimo attore e regista; fra i suoi spettacoli si ricordino almeno “L’uomo, la bestia e la virtù” di Pirandello, “Il misantropo” di Molière, “Il compleanno” di Pinter, “Finale di partita” di Beckett, oltre a numerose commedie di Shakespeare e molto altro. Cecchi è anche interprete, insieme a Paolo Graziosi e ad una schiera di affiatati attori. Le scene e i costumi sono di Titina Maselli, le luci di Paolo Manti.

IMMAGINARIO
Tracce.
La foto di oggi…

“ Io sono me più il mio ambiente e se non preservo quest’ultimo non preservo me stesso”
(Josè Ortega y Gasset)

Nella sua mostra fotografica, fino al 31 Marzo 2015 all’Hotel de Prati in via Padiglioni 5 a Ferrara, Giacomo Stefani parte da una visione postmoderna del rapporto tra natura e tracce dell’uomo moderno, passando attraverso una sorta di visione archeologica dei luoghi abbandonati della città. Il percorso si conclude con una panoramica dell’antica Valle Padusa. In particolare la ricerca di Stefani vuole far risaltare, attraverso i suoi scatti suggestivi, le tracce che la Valle ha lasciato nelle aree limitrofe alla zona urbana di Ferrara.

La mostra è visitabile tutti i giorni dalle ore 14 alle ore 22.

OGGI – IMMAGINARIO FOTOGRAFIA

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic sulla foto per ingrandirla]

foto di Giacomo Stefani
foto di Giacomo Stefani

ACCORDI
Les Revenants.
Il brano di oggi…

Un brano intonato alle notizie del giorno.

[per ascoltarlo cliccare sul titolo]

Mogwai – Hungry Face

Le immagini di piazza del Popolo ieri a Roma per la manifestazione che ha visto unite la Lega di Salvini e Casa Pound, hanno fatto tornare alla mente i fantasmi di Les Revenants, la serie televisiva francese dai toni cupi e dalle tematiche soprannaturali.

Di fronte al ritorno di cartelli con il duce, bandiere con le croci celtiche e orgoglio nazionalista misto a rabbia indistinta e feroce, la mente è andata ai morti che ritornano in vita, a spettri le cui intenzioni non promettono nulla di buono, ad atmosfere mortifere ed angoscianti.

Così il brano scelto per questa giornata è tratto dalla bella colonna sonora della serie Les Revenants, composta ed eseguita dagli scozzesi Mogwai, quintetto post-rock attivo dal 1995.

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GERMOGLI
Senza di noi.
L’aforisma di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

Indro MontanelliDal 2010 il 1° marzo ricorre una giornata nazionale indetta dalla popolazione migrante per educare alla tolleranza: “Una giornata senza di noi”.

“Siamo tolleranti e civili, noi italiani, nei confronti di tutti i diversi. Neri, rossi, gialli. Specie quando si trovano lontano, a distanza telescopica da noi.” (Indro Montanelli)