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Giorno: 21 Aprile 2016

I Cultura Minimal si raccontano: la veloce ascesa di un’emergente rock-band ferrarese

Di sicuro a Ferrara una cosa che non manca mai è la musica. Tanti sono i giovani ferraresi appassionati di musica e tantissimi sono quelli che a questo mondo si avvicinano in maniera attiva, talvolta riscontrando anche un buon successo oltre le Mura. Tra questi spiccano i Cultura Minimal, band emergente tutta al ferrarese che in pochi anni si è già imposta nel panorama musicale della città estense.
Abbiamo deciso di raccontare la loro musica e la loro storia incontrando uno dei quattro membri della band, il batterista vigaranese Nicola Giovanardi.

Il logo dei Cultura Minimal
Il logo dei Cultura Minimal

“I Cultura Minimal nascono nel maggio del 2013 da un’idea del nostro frontman Niccolò Battaglia – racconta Nicola – e dopo una prima fase di assestamento durante la quale il progetto ha piano piano preso forma, siamo arrivati solo pochi mesi fa alla formazione ufficiale del gruppo”. Oltre a Niccolò battaglia (voce e chitarra) e Nicola Giovanardi, i Cultura Minimal sono Diego Guidoboni (chitarre) e Raffaele Guendalini (basso). Un nome, quello della band, “nato un po’ per gioco, perché tendiamo sempre a prenderci un po’ alla leggera” ci spiega Nicola, precisando quanto Cultura Minimal “rispecchi veramente quel concetto di leggerezza che ci contraddistingue come band”.

Tutta l’energia del rock puro legata alle tradizioni del pop moderno, senza mai tralasciare una sostanziosa impronta cantautoriale caratterizzata soprattutto da testi attuali (si spazia davvero tra mille temi) e impegnati, vere fondamenta della musica della band: questi i tratti che maggiormente li contraddistinguono. I Cultura Minimal, spiega Nicola, “non si pongono in alcun modo vincoli di genere musicale: siamo convinti che soprattutto oggi nel mondo della musica etichettarsi non serva a niente, al contrario è necessario tenere sempre la mente aperta e sperimentare in continuazione”.
Queste aperture a ogni influenza musicale sono anche la chiave di tutti i live della band, poiché “in ogni concerto – racconta il batterista – riusciamo a essere sempre noi stessi e sempre spontanei, convinti che cercare di mettere in musica quello che siamo e proporlo al pubblico in maniera genuina sia la chiave per arrivare a quanta più gente possibile”.

E a ripercorrere nei dettagli la breve storia dei Cultura Minimal i fatti sembrano dar ragione alle parole di Nicola: oltre al secondo posto all’edizione 2014 del “SangioinRock”, al primo posto all’edizione 2015 del “Rock Fool’s Fest” di Bondeno e alla conquista delle fasi semifinale del festival “Musicale” di Pisa nel 2015 (selezionati tra oltre 120 partecipanti), l’ultima ‘conquista’ è arrivata poche settimane fa con la vittoria del “Boccalone d’oro” al “MusicaFè”, il festival universitario organizzato dall’Associazione Ferrarese Universitaria de li 4S che prevede l’obbligo tra le band partecipanti di avere almeno la metà dei componenti iscritta all’Università di Ferrara. “Una bellissima iniziativa che, parlando da studente Unife – ha commentato Nicola – andrebbe di sicuro valorizzata, un’occasione per suonare insieme e divertirsi, ma anche di sana competizione. Vanno ringraziati tutti gli organizzatori per la passione e l’impegno con il quale creano queste belle manifestazioni, sempre meno presenti a Ferrara”. Una vittoria sicuramente prestigiosa e importante visto anche un recente cambiamento di formazione.

La copertina del primo Ep
La copertina del primo Ep

Ora, quindi, sembra essere arrivata l’ora di fare sul serio: “Con questa nuova formazione vogliamo finalmente fare il salto di qualità”, afferma il batterista, annunciando l’uscita “del nostro primo Ep nel maggio 2015 e, un mese dopo, del video di uno dei singoli da questo estratti, “Dmax” [guarda]. Attualmente siamo costantemente in sala di registrazione per lavorare sul nostro primo disco ufficiale, in uscita il 15 settembre”. Tutto questo grazie alla collaborazione con l’etichetta AreaSonica Records di Bologna, avviata nel dicembre scorso, “una novità – spiega Nicola – che ci permetterà di organizzare le date per il lancio dell’album e un tour di promozione che uscirà anche dal territorio ferrarese. Di sicuro con l’uscita del nuovo disco cambierà anche il nostro approccio soprattutto per quanto riguarda la distribuzione, per ora siamo davvero fortunati perché abbiamo tante persone al nostro seguito che cercano di migliorarci e consigliarci in questa fase per noi completamente nuova”.

Una grande opportunità quindi per la band, che Nicola precisa essere “frutto di una buonissima base di etichette indipendenti sparse per tutta l’Italia, gente competente e appassionata che per fortuna crede ancora nella musica e, di fatto, sono vera e propria linfa vitale per il panorama musicale italiano, oggi quasi in crisi d’identità”. Secondo il batterista il problema principale della situazione attuale della musica in Italia è la sua stessa comprensione da parte degli ascoltatori: “Sono cambiati radicalmente i tempi e ciò viene confermato dai ragazzi di oggi, i quali faticano troppo a capire realmente cosa stanno ascoltando. Oggi siamo portati tutti a seguire solo alcune vecchie linee melodiche che ci hanno fatto rimanere culturalmente indietro, manca quella concezione fondamentale che la musica è innanzitutto lavoro e ricerca continua”. Tutto ciò secondo Nicola si riscontra anche a Ferrara, una realtà “sicuramente attivissima dal punto di vista musicale”, ma che purtroppo “fatica ancora a riconoscere i musicisti come veri e propri lavoratori”, un problema che incide anche nella “collaborazione tra chi lo show lo fa e chi lo organizza, e a risentirne sono soprattutto la promozione e la comunicazione degli eventi stessi, dettagli spesso mal gestiti. Oggi, purtroppo – conclude Nicola – non è più come trent’anni fa quando la musica era seguitissima soprattutto dal vivo, ecco perché risulta davvero fondamentale riuscire a creare la giusta aspettativa”.

Al termine della chiacchierata, Nicola ci tiene a lanciare un appello a tutti i lettori: “Andate ad ascoltare la musica dal vivo! Noi lo diciamo sempre… non c’è modo migliore di capire davvero tutta la passione e l’impegno che stanno dietro ai tanti giovani progetti musicali come il nostro”. E noi non possiamo fare altro che condividere questo appello e rilanciarlo, consigliando a tutti di seguire il cammino di questi quattro ragazzi verso quello che sarebbe, davvero, un successo meritato.

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I luoghi amici degli scrittori

Castello Crathes Scozia Simonetta Sandri
Castello Crathes Scozia

Di fronte alla bellezza della Natura è facile perdersi e trovare ispirazione per scrivere. Davanti alla bellezza del creato si resta spesso disarmati e dopo il primo momento di estasi contemplativa pura e fine a sé stessa, la mente prende ossigeno ed è pronta a spiccare il volo. Si sente una musica che non esiste, ma poi le note arrivano, e, per chi scrive, il loro approdo naturale è quasi sempre il taccuino perlato. Va detto però che l’assenza della presenza umana, in luoghi come prati e foreste, non è sempre la sola fonte di ispirazione per chi scrive o almeno non è sempre la migliore. I luoghi pensati, disegnati, progettati e costruiti dall’uomo sono anch’essi fonte di grande bellezza, idea ed inventiva. Spesso sono anche più ricchi per l’immaginazione fervida di chi cerca idee.

Leptis Magna Libia Simonetta Sandri
Leptis Magna Libia

Se si passeggia per le strade di un’antica città romana, se ne vedono i personaggi chiacchierare o perdersi in lunghe e accese discussioni, si può cogliere la maestosità di una storia imperiale parte delle nostre radici, si intravvede una giovane ragazza pettinarsi prima di andare ad accarezzare la sua arpa leggera.

Se ci si affaccia alla finestra di un immenso edificio dell’era sovietica, si vedono famiglie aspettare il turno del bagno nel kommunalka, rifare il letto ancora tiepido o attendere il vicino per apparecchiare la tavola.

Scozia Simonetta Sandri
Scozia

Se si sbircia nelle serre dei castelli scozzesi s’incontra una vecchia ed elegante signora intenta a curare le sue preziose rose, alla ricerca di una formula magica per garantirne l’eterna bellezza, freschezza e giovinezza. Che magari siano anche le sue. Nelle sale eleganti dove si beveva un caldo e prezioso thè, le tappezzerie, le biblioteche, i tappeti, i quadri alle pareti e tutti gli interni raccontano le storia di una famiglia. Anche i giardini ricamati e curati, con le loro piante rare ed esotiche, parlano dei viaggi lontani del proprietario, della sua raccolta minuziosa di sementi in ogni parte del mondo e dei luoghi che ha visitato, come turista, mercante o ambasciatore. O come semplice uomo curioso. I libri raccontano degli interessi di quella casa, della voglia di conoscere il mondo, svelando se sono puri soprammobili o pezzi reali di vita vissuta, magari intensamente. Tutti gli oggetti intorno parlano, all’ombra di alcuni alberi rari e antichi si sono sussurrate parole o ricatti, consumate delicate conversazioni, personali o politiche, svelati segreti che ogni predecessore avrebbe voluto mantenere lontano dai posteri, architetture che svelano passioni, curiosità e timori.

Castello Edimburgo Scozia Simonetta Sandri
Castello Edimburgo Scozia

Articolate storie di famiglia, eredità lontane e curiose tradizioni di quei luoghi possono ispirare ogni scrittore. Ci sono identità fra le pareti di un palazzo e molti scrittori traggono più ispirazione da quei muri che dalla natura. Non che questa vada sottovalutata. Ma sfatiamo il luogo comune che immersi nel silenzio e nella quiete totale, lontano dall’uomo, si scriva meglio. Se abbiamo tanti personaggi che corrono intorno a noi indicando la strada della storia, che poi racconteremo a casa alla nostra dolce metà, non è forse vero che i luoghi del passato, nella loro organizzata, misteriosa, intrigante e bilanciata complessità, possono essere i migliori amici degli scrittori?

Arco Settimio Severo Leptis Magna, Libia
Arco Settimio Severo Leptis Magna, Libia

Fotografie di Simonetta Sandri, Castello di Edimburgo e di Crathes (Scozia), Leptis Magna (Libia).

L’EVENTO
Incisioni di Resistenza. Una mostra a Palazzo ducale per celebrare il 71° della Liberazione

A cura della sezione ferrarese Anpi

Di nuovo visibili con una mostra a Palazzo ducale,“Xilografie sulla Resistenza”, tredici opere realizzate nel 1955 da importanti artisti italiani e ferraresi per celebrare il primo decennale della Lotta di Liberazione, grazie alla sezione locale dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia e al lavoro del Liceo artistico Dosso Dossi.

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Armando Pizzinato, Eccidio di Bosco di Cornilio – Appennini 1944 (1955)

La mostra, inserita nel calendario delle cerimonie e delle iniziative di Ferrara per celebrare il 71° anniversario della Liberazione, riporta alla luce la raccolta di incisioni di cui si era persa quasi ogni traccia. Ritrovate nell’autunno del 2015, quando da una vecchia scatola conservata all’archivio Anpi di Ferrara, riaffiorano le tredici matrici realizzate negli anni ’50 dai maestri locali: Rambaldi, Fioravanti, Cavallari e da diversi artisti nazionali: Treccani, Zancanaro, Farulli, Pizzinato, Anderlini, Bartoli, Bussotti, Cavicchioni, Leonardi e Ruffini.

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Copertina della raccolta “Xilografie sulla resistenza”

Nel 1955, infatti, la sezione ferrarese Anpi aveva ricordato i dieci anni della fine della Guerra, commissionando i disegni che, qualche anno dopo, nel 1957, sarebbero stati raccolti e commentati, sotto il titolo “Xilografie sulla Resistenza”, da Raffaele De Grada, critico d’arte, ex partigiano e futuro parlamentare comunista. Nei decenni a seguire, le stampe “tirate” per l’occasione erano state via via donate, vendute e col passare degli anni erano andate definitivamente disperse; con esse si era persa anche la memoria delle tredici matrici d’autore. A ricordare la loro esistenza, c’era però la raccolta dell’intera serie a stampa conservata da Giorgio Pancaldi ed esposta alle pareti della propria abitazione, raccolta che rappresenta di fatto l’unica copia autentica delle Xilografie nel 1955. Il ritrovamento delle matrici originali e la disponibilità della collezione Pancaldi hanno così permesso di dar corso al progetto che dal 22 aprile fino al 4 maggio è in mostra nel Salone d’onore della Residenza municipale.

La realizzazione dell’iniziativa, culminata con la ristampa dei tredici disegni d’artista, è stata resa possibile dall’accurato lavoro di un gruppo di allievi del Dosso Dossi di Ferrara, coordinati dalla docente Gabriella Soavi, con la consulenza del prof. Paolo Berretta.

INFORMAZIONI
Sede della mostra: Salone d’onore, Palazzo ducale estense
La mostra è visitabile dal 22 aprile al 4 maggio 2016 dalle ore 9.00 alle ore 18.00, nei giorni di apertura del Municipio. L’ingresso è gratuito.

INAUGURAZIONE venerdì 22 aprile – ore 18.00
Interverranno: Massimo Maisto, vicesindaco, assessore alla Cultura, Annalisa Felletti, assessora alla Pubblica istruzione e formazione, Comune di Ferrara, Fabio Muzi, dirigente scolastico, Liceo linguistico Dosso Dossi di Ferrara, Daniele Civolani, presidente Anpi, sezione di Ferrara

LA SEGNALAZIONE
A Venezia in mostra i capolavori ritrovati di Vittorio Cini

di Maria Paola Forlani

PALAZZO_CINI_VENEZIA

Si è aperta con uno straordinario omaggio a Vittorio Cini (Ferrara 20 febbraio 1885 – Venezia 18 settembre 1977) la nuova stagione della veneziana Galleria di Palazzo Cini a Campo San Vio, casa-museo un tempo dimora del grande mecenate, nella quale sono custodite le raccolte di dipinti toscani e ferraresi già nella sua collezione personale. Fino al 5 settembre 2016 gli spazi del secondo piano presentano i più importanti dipinti veneti provenienti dalla sua vastissima collezione – tra cui capolavori di Tiziano, Lotto, Guardi, Canaletto e Tiepolo – opere che sono esposte al pubblico per la prima volta assieme.

Il percorso espositivo ideato per l’occasione dall’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini, diretto da Luca Massimo Barbero, restituisce attraverso una trentina di capolavori selezionati la qualità di una raccolta d’arte antica tra le più importanti del secolo scorso e ci permette di conoscere meglio la figura e il gusto di Cini collezionista, che – con l’aiuto di consiglieri illustri come Bernard Berenson, Federico Zeri e Giuseppe Fiocco – si assicurò i nomi più rappresentativi della scuola veneta, dal Trecento al Settecento.
La pittura del Trecento e del primo Quattrocento veneto è testimoniata in mostra dalla presenza di una nutrita schiera di artisti: da Guglielmo Veneziano a Nicolò di Pietro, dal Maestro dell’Incoronazione a Michele Giambono. Di quest’ultimo, la cui arte raffinata segna la maturazione del tardo gotico a Venezia (il suo celebre San Cristoforo si trova nella chiesa di San Trovaso), è esposta la straordinaria tavola “San Francesco che riceve le stimmate”. Introduce invece il Rinascimento, la splendida Madonna Speyer di Carlo Crivelli, rappresentativa dello stile originale, nervoso e incisivo, di questo singolare artista veneziano.
Tra le opere in mostra, accanto a lavori di Cima da Conegliano, Bernardo Parentino, Giovanni Mansueti e Benedetto Diana, spicca per importanza e imponenza la “Madonna con il Bambino e i Santi Giovanni Battista e Francesco” (1485 circa) del vicentino Bartolomeo Montagna. Quest’opera cardine della poetica del Montagna – educato sugli esempi di Mantegna, Bellini e Antonello da Messina – considerata uno dei più alti capolavori della pittura del tempo, è poco conosciuta e la mostra offre un’occasione unica per ammirarlo e studiarlo da vicino.

Un posto a sé in questo itinerario attraverso la pittura veneta, occupa l’enigmatico “San Giorgio che uccide il drago” di Tiziano, probabile frammento di una pala commissionata a Tiziano dalla Serenissima nella seconda decade del Cinquecento, è un dipinto intrigante per la storia critica che l’accompagna. Nel corso dell’Ottocento l’opera fu attribuita a Giorgione e nei primi decenni del secolo successivo prima a Palma il Vecchio poi ancora a Giorgione, per poi essere definitivamente restituita al grande Tiziano solo recentemente.
Una sezione della mostra è dedicata alla ritrattistica veneta del Cinquecento con un piccolo nucleo di straordinari ritratti maschili opera di Bartolomeo Veneto e Bernardino Licino. Tra tutti spicca per fascino e notorietà il bel “Ritratto di gentiluomo”, forse Fioravanti degli Azzoni Avogardo, una piccola perla della collezione, eseguito da Lorenzo Lotto.

Sala-Settecento_Guardi

A fare la parte del leone è però il Settecento, presentato attraverso un trionfo di capolavori dei principali rappresentanti di quel secolo d’oro della pittura veneziana – Canaletto, Antonio e Francesco Guardi – spia del sorprendente e intelligente gusto collezionistico di Cini. Mirabili sono due Capricci di Canaletto, tele di grande formato considerate due dei più celebri capricci giovanili dell’artista: creazioni poetiche che presentano un mondo di fantasia, vedute ideali nelle quali, immersi in una luce calda, emergono fatiscenti ma ancora maestose rovine classiche. In dialogo con le tele di Canaletto sono esposti quattro sublimi Capricci di Francesco Guardi e, ad arricchire il panorama della pittura veneziana del Settecento, due piccoli bozzetti per pale d’altare di Giambattista Tiepolo. Di Antonio Guardi – del quale sono in mostra anche due delle sue famose ‘turcherie’ – sono visibili eccezionalmente tre album di disegni, noti come “Fasti veneziani”: 58 fogli che illustrano fatti della storia di Venezia. Prove grafiche di altissima qualità contraddistinte da un linguaggio stilistico che asseconda la genuina vena rococò del pittore. Lo stesso gusto che ritroviamo nelle tre grandi tele dell’artista, che in origine decoravano un soffitto di Palazzo Zulian a San Felice, che sarà possibile vedere nuovamente dopo molti anni. Tra le prove più alte della pittura decorativa veneziana, le tre tele, raffiguranti Vulcano (il Fuoco), Nettuno (l’Acqua) e Cibele (la Terra), databili al 1757 circa, sono realizzate con una pennellata sciolta e guizzante.

capolavori-ritrovati-cini

Vittorio Cini è stato uno dei più grandi collezionisti d’arte moderna del Novecento, un uomo votato al culto della bellezza e dell’arte. A testimoniarlo resta la sterminata raccolta di dipinti, sculture, oggetti d’arte decorativa, espressione di un interesse vastissimo per ogni espressione della creatività umana, e i due luoghi che serbano l’immagine più autentica di Cini collezionista: il Castello di Monselice e la Galleria di Palazzo Cini sul Canal Grande, nata nel 1984 grazie alla generosità degli eredi del conte e alla lungimiranza della Fondazione Giorgio Cini.

Resta il doloroso abbandono della casa natale del conte Cini a Ferrara. Un tempo luogo di convegni, mostre, sempre affollato di giovani e sede delle prestigiose biblioteche, ancora ivi conservate, con le collezioni di volumi donate dai direttori che hanno guidato l’Istituto con amore. Quell’Istituto di Cultura “Casa Vittorio Cini” ora non c’è più. La diocesi (a cui l’edificio medioevale era stato affidato) ha preferito farne uno pseudo condominio di ambigue affittanze, cacciando i giovani che la vivevano, chiudendo le preziose biblioteche e alienando le collezioni d’arte. Uno specchio di decadenza del gusto e della cultura, un oltraggio, un’infamia consumata ai danni della città che quel luogo amava. Una violenza diretta alla memoria del grande mecenate, che l’aveva donata a Ferrara, alla cultura e ai giovani, e verso chi in anni trascorsi (come i Padri gesuiti, don Franco Patruno e don Francesco Forini) aveva raccolto collezioni d’arte contemporanea (destinate a diventare un ricco museo patrimonio della diocesi) e riempito quelle stanze con l’ascolto e l’accoglienza del pubblico assetato di conoscenza, ma soprattutto di giovani, vivaci interpreti della ricerca. Siamo nelle mani di persone che probabilmente non hanno consapevolezza di quello che hanno fatto depauperando nei suoi contorni architettonici un bene di così grande levatura e privando la comunità ferrarese di tale ’dono’, del valore delle cose, dell’importanza di conservare ciò che di bello è stato realizzato da persone di grande levatura e che hanno fatto la storia di Ferrara.
Resta lo splendore di Palazzo Cini a San Vio tra le luci e i riflessi di Canal Grande, in una Venezia che accoglie con armonia i suoi visitatori, nel ricordo di chi alla cultura ha creduto veramente.

Apertura dell’atelier della residenza d’artista di Stefano Babboni

Sabato 23 aprile, presso la sede dell’associazione culturale Ferrara Off, porte aperte del nuovo spazio bianco adiacente alla sala teatrale con l’esposizione dei lavori del pittore e danzatore Stefano Babboni.

babboni-teatro-offDopo quasi un mese di residenza artistica le opere, frutto di laboratori creativi che hanno coinvolto ragazzi e adulti, saranno visibili al pubblico in una apertura straordiaria ad ingresso libero. “Abitare un luogo, viverlo, seguire le ispirazioni di passaggio, allestirlo e predisporlo ad essere atelier”, con queste intenzioni ha preso vita il progetto residenziale a cura di Stefano Babboni dal titolo “Le età della vita. Tracce di Metamorfosi“, ospitato nel mese di aprile negli spazi di Ferrara Off.

Sabato, Babboni mostrerà il frutto del suo lavoro nato dal condizionamento che lo spazio ospitante ha prodotto sulla percezione dei corpi di coloro che hanno partecipato ai laboratori, lasciando le tracce delle proprie impronte su tela. I materiali utilizzati sono semplici: vernice, colla, gesso e fusaggine. Il risultato è una “radiografia dell’anima” che rivela emozioni. Coinvolti nel progetto anche i ragazzi di una classe del liceo artistico Dosso Dossi che hanno sperimentato nuove tecniche e modalità espressive, da quelle che quotidianamente sono soliti utilizzare per gli studi.

babboni-teatro-offL’esposizione del 23 aprile sarà la prima di un nuovo ciclo di eventi, organizzati dall’associazione Ferrara Off, dedicati all’arte contemporanea: il 30 aprile, alle ore 19, sempre nello spazio bianco, sarà inaugurata, infatti, la mostra dello scultore veneziano Elio Talon “Germoglia”, in esposizione fino al prossimo 26 giugno.

Esposizione dei lavori di Stefano Babboni nati dal progetto residenziale “Le età della vita. Tracce di Metamorfosi“, sabato 23 aprile, dalle ore 18, in Viale Alfonso I d’Este 13 presso il Teatro Off.

Informazioni: +39.333.6282360 – info@ferraraoff.it – www.ferraraoff.it

La foto di copertina e le due nel testo sono di Daniele Mantovani.

Di seguito alcune foto dei laboratori creativi di Stefano Babboni scattate nell’atelier. Clicca le immagini per ingrandirle.

Clicca qui per leggere l’intervista di Federica Pezzoli a Stefano Babboni

Clicca qui per guardare il video di un lavoro di Stefano Babboni del 2012 dal titolo “Parete sensibile”

Immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

 

Consenso

Immanuel_Kant
Immanuel Kant

Non cercare il favore della moltitudine: raramente esso si ottiene con mezzi leciti e onesti. Cerca piuttosto l’approvazione dei pochi; ma non contare le voci, soppesale. (Immanuel Kant)

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

Buon 69, vecchio Jim

Oggi è di nuovo festa, nuovamente, almeno per me.
Perchè il 21 aprile è il cumple di uno dei miei archetipi americani preferiti.
Giusto il giorno dopo Adolf Hitler poteva nascere il mio attore teatrale preferito: Jim Osterberg.
Nato nel 1947 e formatosi alla scuola bergmaniana negli anni… ok, basta stronzate: auguri Iggy!
Il disco nuovo non è neanche male, anzi!
Nessuno c’avrebbe scommesso una lira ma invece è ancora vivo, in forma e sempre nudo e grinzoso.

Brano: “Jealousy” di Iggy Pop
Brano: “Jealousy” di Iggy Pop

Ci sono tanti Iggy.
Iggy pischello e batterista con gli Iguanas.
Iggy non più pischello con i primi Stooges, là a suonare il frullatore e le scarpe da tip-tap sull’asse da bucato microfonata.
Iggy giovane con gli Stooges che conosciamo e ringraziamo sempre per i motivi sbagliati.
Iggy messo da culo, dormiente sulle panchine di Los Angeles che quando si ricorda va a fare le prove con Ray Manzarek.
Iggy idiota-dostoevskijano, occhialuto, con camicina e maglioncino, robotizzato dal suo amico Bowie.
Iggy che un paio d’anni dopo torna a puzzare un po’ di hamburger ma comunque con classe.
Iggy che torna a farsi robotizzare ma stavolta da Chris Stein, macchina infernale dei Blondie.
Iggy che dopo aver lasciato un’altra manata di denti su qualche palco, si fa salvare ancora le chiappe da Bowie e poi arranca ancora.
Iggy che si ripiglia nei ’90 e viene giustamente santificato sui primi 2000 quando richiama i fratelli Asheton, riforma quegli altri Santi degli Stooges e nel tempo libero si spara anche un paio di dischi da corner.
Iggy che PETA per le foche (cit.) perché le ammazzano, l’Iggy che parla di cucina con Anthony Bourdain, l’Iggy che sbrocca contro la techno e i fuckin’ techno dogs (cit.) regalandoci una performance che per me sta al pari con quella del burro d’arachidi del 1970, quella volta che si buttò dal palco e inventò lo stage diving.
Lo stesso Iggy che nel 2010 si fa di nuovo male e dice che ormai è troppo vecchio per lo stage diving ma una settimana dopo lo rifà perché è più forte di lui.
E adesso abbiamo questo Iggy rimembrante, sempre più pieno di rughe bellissime in faccia, apparentemente saggissimo e meditabondo che si spara uno dei suoi migliori album solisti di sempre, a 68 anni.
Si sarà capito.
A me Iggy va sempre bene.
E ognuno avrà un suo Iggy preferito.
Magari anche chi non ascolta musica perché abbiamo pure l’Iggy attore.
Mio ruolo del cuore: il finocchietto nuovamente proto-punk che cucina i fagioli e legge la Bibbia in Dead Man di Jarmusch.
Piaccia o no, quando si parla di quest’uomo, almeno su una cosa occorre essere oggettivi.
Jim-Osterberg-da-Muskegon-Mchigan, ha polverizzato per sempre l’idea di white nigger individuata da Mailer, sostituendola con una cosa che io chiamo albino nigger.
Perchè quest’Imbecille ha capito in fretta – secondo me anche prima di immatricolarsi come tirocinante dai bluesman a Chicago – che, ok-il-blues ma non ti devi colorare la faccia di nero come in quel film sul cantante jazz.
Dovevo fare il mio blues, racconta in “Please Kill Me”.
E questo è il più grande e il più vero omaggio che si possa tributare al blues e a quel popolo sradicato.
Mica Clapton e/o le statutte africane del mercato in casa, dio santo.
Mica quest’etno-farlocchismo da Bertinotti mancati che va tanto adesso.

Sacra Trinità con gli Stooges e Sacro Dittico berlinese a parte, la sua carriera solista è un casino, un casino com’è sempre stato lui.
Dischi bellissimi e dischi di merda alternati secondo uno schema matematico che manda a cagare la matematica.
Ma chi può mandare a cagare la matematica se non Iggy?
Iggy l’ex secchione, porca vacca.
Il più secchione dei tre in quella foto famosa, il più secchione anche se a detta di tutti era sempre stato lo stupido, anzi, l’Idiota.
Troppo avanti agli esordi, ingestibile per quei tempi e ingestibile anche per un altro po’.
Scaricato dopo due album giganteschi dalla casa discografica più illuminata dei ’60, quella che si era tenuta comunque Morrison e i Doors nonostante il casino del pisello, la strage evitata per un soffio e il boicottaggio di un intero paese contro quell’ubriacone e i suoi compari.
Ma Iggy no.
Ciao ciao a te e a quei tuoi amichetti con quel loro estremismo ancora incomprensibile.
Gente che magari, dopo aver commesso questo crimine contro l’Umanità, era anche capace di sciacquarsi la bocca con Artaud.
Ma vabbè, il mondo è ancora in mano ai Bertinotti mancati.
E mentre sto scrivendo, là fuori un namedropper ti ama.

Iggy è il più grande monumento all’Uomo come Essere Vivente Stupido e Nobilmente Idiota che si sia visto nella musica pop e non solo.
Iggy è tutto quello che dovrebbe sempre essere la mia branca preferita della musica pop, quella branca che da Elvis, passando per Morrison e figliocci, ha fatto saltare per aria questa palla di fango.
Una roba che purtroppo adesso è sepolta.
Sepolta da quelle cose che il più grande Evangelista di Iggy – Evangelista da tempi non sospetti – aveva individuato davvero bene: mode e pubblicità.
Mode e pubblicità che Iggy è stato a modo suo abile a schivare, trollare, fottere e cavalcare, nonostante il suo casino perpetuo.
E quindi eccolo ancora qua, performance vivente e ben deambulante in barba a quelle gambe asimmetriche.
Quindi dopo tutta questa menata, butto la maschera io e via con uno dei miei Iggy preferiti perché non ne posso avere solo uno.
Iggy è come il mio armadio e questo è l’Iggy che mi va oggi.
Buon 69, vecchio Jim.

Ogni giorno un brano intonato alla cronaca selezionato e commentato dalla redazione di Radio Strike.

 

Selezione e commento di Andrea Pavanello, ex DoAs TheBirds, musicista, dj, pasticcione, capo della Seitan! Records e autore di “Carta Bianca” in onda su Radio Strike a orari reperibili in giorni reperibili SOLO consultando il calendario patafisico. xoxo <3

Radio Strike è un progetto per una radio web libera, aperta ed autogestita che dia voce a chi ne ha meno. La web radio, nel nostro mondo sempre più mediatizzato, diventa uno strumento di grande potenza espressiva, raggiungendo immediatamente chiunque abbia una connessione internet.
Un ulteriore punto di forza, forse meno evidente ma non meno importante, è la capacità di far convergere e partecipare ad un progetto le eterogenee singolarità che compongono il tessuto cittadino di Ferrara: lavoratori e precari, studenti universitari e medi, migranti, potranno trovare nella radio uno spazio vivo dove portare le proprie istanze e farsi contaminare da quelle degli altri. Non un contenitore da riempire, ma uno spazio sociale che prende vita a partire dalle energie che si autorganizzano.

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