Una vergogna di livello universitario:
una studentessa russa scrive all’Alma Mater Studiorum
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Una brutta storia. Bruttissima.
Chi sperava che almeno gli atenei italiani, i luoghi della cultura per eccellenza, fossero indenni dal furore atlantista di Draghi, dalla propaganda a reti unificate che santifica Zelens’kyj (da 3 anni presidente molto poco “democratico” e da un mese “martire della democrazia”), dalla fobia antirussa che sta montando nel Paese, che incolpa qualsiasi povero diavolo con passaporto russo di essere anche lui un dittatore sanguinario come Vladimir Putin. Chi pensava che la tragicomica censura di Dostoevskij al Politecnico fosse solo un piccolo equivoco o una grande gaffe, deve purtroppo ricredersi.
E’ una brutta storia. Che va raccontata dall’inizio.
La tragedia ucraina sembra non finire mai. Migliaia di morti, molti civili, tanti bambini. Almeno 80.000, secondo gli ultimi dati del Viminale, i profughi ucraini arrivati nel nostro Paese. Poi, e a volte ce ne dimentichiamo, c’è chi in Italia già ci stava – per lavorare o per studiare – prima dell’invasione russa. Sono parecchie migliaia in Italia le badanti dell’Est Europa. E sono migliaia gli studenti che frequentano le nostre università: studenti, e soprattutto studentesse, ucraine, russe, bielorusse, moldave, georgiane…
In tutte le città universitarie italiane, gli studenti dei Paesi in guerra si sono riuniti in assemblea. Tra di loro nessun contrasto, molti i legami di amicizia e di parentela, tutti egualmente vittime di una guerra insensata e fratricida. E tutti con i medesimi problemi di sopravvivenza.
Dalla Russia, grazie al boicottaggio generalizzato (e insensato), da più di un mese nessuno può ricevere un rublo: carte di credito e conti correnti bloccati. E vale per tutti, anche se non sei un oligarca o il cugino di Putin.
Ma torniamo alle ragazze russe, bielorusse e ucraine. A Bologna sono almeno trecento. L’assemblea si tiene il18 marzo: discutono e insieme decidono di chiedere un incontro urgente al rettore dell’Ateneo per esporre i loro pressanti problemi e chiedere un aiuto alla università che frequentano. La prorettrice le riceve, ma separatamente: prima il gruppo delle studentesse ucraine, poi le studentesse russe. Alle prime, ucraine, esprime la vicinanza e la solidarietà di tutto l’Ateneo Bolognese. Promette la pronta istituzione di Borse di studio a loro dedicate e la sospensione dell’obbligo di pagamento delle rate universitarie.
Infine (gesto assai generoso) l’università è disposta a prestare ad ognuna di loro 3.000 euro. Un prestito senza interessi, da restituire “con comodo”.
Quando è il turno del gruppo numeroso delle studentesse russe e bielorusse, una si loro interviene dicendo che la loro situazione è disperata, “come essere in pandemia”. “No – risponde la Prorettrice, – la pandemia è provocata da un virus, mentre qui c’è uno Stato che bombarda un altro Stato”. Ma chi sta bombardando? Sono gli studenti russi fuori sede? Fatto sta che l’università più antica e più famosa del mondo, l’Ateneo di Bologna non ha da offrire nessun aiuto, nessun sussidio, nessun prestito agli studenti russi.
Forse, chissà, in futuro: “Leggeremo le vostre lettere, vedremo, valuteremo, vi risponderemo…”. E’ passato quasi un mese dal 18 marzo e l’Università di Bologna non ha dato nessuna risposta. Che sia un problema burocratico? Avranno chiesto un parere sul da farsi al Presidente del Consiglio Draghi?
Non so come definire una scena (e una scelta) tanto surreale, quanto vergognosa. Un copione che si è ripetuto, con qualche variante, in diverse città e università italiane. Lascio il commento a Veronika, una giornalista russa di 32anni che frequenta l’Ateneo Bolognese per prendere una seconda laurea in Cinema.
Quella che leggete di seguito è la lettera che Veronica ha inviato per mail al Rettorato, appena dopo quell’incredibile incontro. Una lettera che assomiglia a una Lectio Magistralis.
” L’università è un luogo libero da pregiudizi di ogni genere; la dimora permanente del genio umano, garante e portavoce dei diritti e delle libertà civili. Dalla sua fondazione nella costituzione dell’Università di Bologna, con la cd ‘Authentica Habita’ (1158) [qui], sono stati stabiliti i diritti degli studenti fuori sede; fu proclamato il principio dell’indipendenza da ogni altro potere, e per secoli numerose associazioni di università difesero gli interessi degli studenti di tutto il mondo. Ancora oggi nella città universitaria giungono persone di diverse nazionalità, costituendo la maggior parte del totale degli studenti. Una volta anche noi abbiamo deciso di entrare a far parte di questa comunità, perché sapevamo per certo che qui tutti sono uguali.
Tuttavia, c’è un grande divario tra il “noi” di oggi e il “noi” di un mese fa, perché il 23 febbraio uno studente dell’Europa orientale era come un altro. In un istante, questa guerra criminale ha reso emarginati i cittadini bielorussi e russi, e li ha posti di fronte a un scelta: sopravvivere o andarsene. E sembra solo ieri quando hanno cantato con fervore Gaudemus Igitur, con questi versi: ‘Pereant dolores! Pereat Diabolus, Quivis antiburschius Atque Irrisores!’
Ma chi avrebbe mai immaginato che avremmo dovuto affrontare tali dolori? Sono disagi di un ordine diverso, non ovvi a prima vista, ma non meno insidiosi dei razzi sopra la testa: quando nessuno annuncia un allarme, ma la paura diventa la nostra più devota compagna.
Sappiamo che il nostro nemico comune è la guerra, ma non sappiamo chi siano i nostri amici.
Il 18 marzo si è svolto un dialogo con i rappresentanti dell’amministrazione universitaria, dove ogni studente russo e bielorusso ha potuto parlare delle nuove realtà della vita: carte bancarie bloccate, impossibilità di pagare l’affitto di casa, le utenze e persino il cibo; ottenere un lavoro part-time o volare verso casa! Siamo stati estremamente grati per la franchezza e l’opportunità di essere ascoltati, ma, purtroppo, dobbiamo affermare che non abbiamo visto un reale interesse per il nostro destino futuro.
Ogni nuovo giorno in uno stato di incertezza e nell’eloquente silenzio dei funzionari, fa dubitare dell’immutabilità di un principio, così fondamentale di qualsiasi comunità universitaria come la parità dei diritti (articolo 1 e articolo 10 della Carta dei diritti degli studenti), quindi lo consideriamo un nostro dovere di denunciare apertamente questo fatto e descriverlo come discriminazione etnica. Siamo inoltre convinti che, come contribuenti, abbiamo subito una violazione diretta delle nostre libertà economiche garantite dalla Costituzione della Repubblica Italiana (articolo 3). La situazione è tale che non solo il processo educativo è minacciato, ma anche i bisogni fondamentali dell’individuo e prima di tutto la sicurezza dell’esistenza.
Tuttavia, abbiamo molti esempi positivi di sostegno e vari tipi di istituti di istruzione superiore in Austria, Germania, Francia e altri indipendentemente dalla cittadinanza. La leadership di queste università ha dimostrato un impegno per i principi del pluralismo e la volontà di assumersi responsabilità in un ambiente politico turbolento. Nel 2021, grazie agli sforzi legali dell’Università di Bologna e la partecipazione attiva di migliaia di studenti premurosi, è stato raggiunto quasi l’impossibile: ottenere la liberazione di Patrick Zaki da un carcere egiziano. È stato un vero trionfo di un’unica volontà, un’unica visione del mondo circostante. Oggi gli studenti bielorussi e russi sono diventati come Patrick: da un lato, i nostri passaporti ci hanno reso complici involontari dell’invasione militare, dall’altro, ostaggi della guerra ideologica ed economica scatenata contro milioni di nostri connazionali. Però, noi, persone pacifiche, sappiamo per certo che la nostra unica arma è la nostra voce e questa voce suonerà finché la giustizia non prevarrà! Finché gli studenti italiani continueranno a consolidare la società civile capace di resistere alla burocrazia e di opporsi al prolungamento della guerra da parte del proprio Parlamento, non tutto è perduto.
Sappiamo chi siamo e dove stiamo andando! Abbiamo dei diritti e li proteggeremo! Diciamo a tutti voi – siamo per la pace! “
(Veronika Floria)
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
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