Skip to main content

Vite di carta. Gabbie, lacci e altri affanni

Due mercoledì fa, dopo il consueto giro al mercato del mio paese, sono passata in Biblioteca a ritirare il libro da leggere per la fine di maggio.

Mi è piaciuta subito la copertina: i lacci ben annodati tra la scarpa sinistra e la destra legano il passo a un uomo vestito elegantemente. Dire un uomo è troppo, in quanto al di sopra delle scarpe si vedono solo i calzini blu avio e il risvolto dei pantaloni gessati. Il passo lo si vede bloccato dal nodo tra i lacci, così che il piede destro, già alzato sulla punta, sarà il primo a cadere in avanti. Che fare? Davanti alla caduta inevitabile il lettore è impotente, può solo aprire il libro e leggere come si è arrivati a questo momento.

lacci domenico starnoneL’ho letto, Lacci di Domenico Starnone, sentendo la presenza dei piedi legati a ogni pagina. Mi è accaduto raramente di trovare così ben rappresentata da una immagine l’idea centrale di una storia. La storia di per sé non ha nulla di straordinario, ripropone anzi la dinamica del romanzo borghese, che si è diffuso nella nostra narrativa ormai da due secoli.
Il libro racconta la separazione tra Vanda e Aldo e il dolore che essa comporta per la moglie che l’ha subita, la costrizione per lei e per i due figli piccoli a cambiare completamente la vita e le aspettative, dopo che il marito è andato a vivere con una giovane donna, di cui è passionalmente innamorato. Questo nella prima parte del romanzo (la divisione è in tre parti chiamate Libri come nelle opere antiche).

Poi subentra nel secondo Libro un narratore diverso, che sposta il tempo della storia a quarant’anni dopo: è un uomo di oltre settant’anni, che vive in simbiosi con la moglie una vita quotidiana fatta di piccole abitudini, di cui è lei a tenere le redini. Lui si mostra rassicurato dalla routine che si ripete da chissà quanto tempo, ogni giorno di più è consapevole della propria fragilità e di come riescano a destabilizzarlo anche i più piccoli inconvenienti.

È in una fase della vita fatta così, che accade l’imprevisto: di ritorno da una breve vacanza lui e la moglie trovano il loro appartamento nel caos, con i mobili spostati e il contenuto dei cassetti sparso sui pavimenti. Sparito Labes, il gatto di casa. Spezzato l’ordine meticoloso delle stanze, di cui è da sempre custode demiurgica Vanda, mentre Aldo è il convivente silenzioso e arreso, un “uomo-ombra”, come lui stesso si definisce. Dai cassetti che vuole riordinare da solo, mentre Vanda dorme, emergono le prove del loro passato ed è qui che, mentre rilegge vecchie lettere, veniamo a conoscere la sua versione sulla separazione di tanti anni prima.

Nel terzo Libro la storia è raccontata dai figli della coppia, che si incontrano nella casa lasciata vuota dai genitori e riescono ad avere un dialogo inusuale, lungo e in molti punti con idee controverse. Dico controverse perché Sandro e Anna hanno personalità opposte e tendono a ricordare in modo antitetico gli episodi salienti della vita a quattro che si è svolta in quella casa. Quanti lacci hanno impedito anche loro. Quale tiro incrociato tra i punti di vista dei genitori e dei figli sullo stesso passato.

Mi convince questa dinamica aggrovigliata dentro la loro famiglia, sa di realtà.  Mi colpisce il dolore di tutti. La vita familiare, e a questo punto cammino sulle orme di Pirandello, si rivela inautentica. Prendiamo Vanda e Aldo, ora che sono anziani: lei tira le somme del suo legame col marito e conclude che l’attrazione per lui se ne è andata molto presto dopo il matrimonio. Durante i quattro anni di separazione ha dovuto rielaborare una nuova identità come madre e come donna e quando Aldo è tornato a casa si è procurata una sorta di risarcimento.

Lui ha vissuto gli inizi del matrimonio come una bella avventura, salvo poi cadere nella delusione e nella consuetudine: “Essere sposato, avere una propria famiglia in giovanissima età, era diventato non segno di autonomia ma di arretratezza. A meno di trent’anni mi sentivo vecchio.”

E non parliamo dei figli. Da adulti si palesano come due persone invase dal risentimento, insicure e incapaci di mantenere il legame come fratelli. Si incontrano e si parlano solo perché costretti a rimettere piede nella casa di famiglia a dare acqua alle piante e cibo al gatto nei giorni in cui i genitori sono fuori per la breve vacanza raccontata nel secondo Libro.

Il finale della storia è sorprendente: dico sempre che la parte difficile di un romanzo è la sua conclusione e molti finali li trovo deludenti. Questo non delude, ma è amaro. E ora servirebbe anche la presenza di Freud per calarci nel pozzo di insicurezze e traumi non risolti di Sandro e Anna, i quali si sbilanciano in una vendetta verso i genitori, che a me lettrice appare incongrua. Per entrambi sarà liberatoria, lo spero per loro. Di nuovo Pirandello: mi accorgo di rapportarmi con Sandro e Anna come se fossero persone vere e non di carta.

Però resta il fatto che mi hanno ricordato le costrizioni di cui ci siamo lamentati durante la pandemia; la nazione intera non ha aspettato altro che riprendere attività e spostamenti e viaggi. Senza lacci e col passo lungo di chi ha una strada da percorrere dopo la sosta forzata.

La scrittura di Starnone è sicura, sicuro il suo appropriarsi di punti di vista differenti e il suo celarsi dietro due narratori maschili e due femminili, di età diverse per giunta. È una abilità narrativa che apprezzo sempre e che sto ritrovando negli ultimi romanzi di Marco Balzano [Qui], come ho già avuto modo di dire altre volte in questa rubrica.

I dialoghi sono molto ben formulati e anche le introspezioni di ogni narratore su di sé sono raffinate e plausibili. Faccio un esempio: quando Aldo si difende dai sensi di colpa, mentre vive lontano da Vanda e lei è in ospedale dopo che ha tentato il suicidio, usa parole estreme da mettere sui due piatti della bilancia. Da un lato riconosce di avere commesso un “crimine”: “Avevo sfregiato un’esistenza”, dice a se stesso; poi però reagisce e sull’altro piatto della bilancia finiscono considerazioni come questa: “Andar dietro al proprio destino era un crimine? Rifiutarsi di sottoutilizzare se stessi era un crimine? Battersi contro istituzioni e consuetudini soffocanti era un crimine? Che assurdità.” Come si vede, la rivoluzione culturale degli anni Settanta ha avuto un bel peso nelle scelte personali di Aldo, così come a Vanda il femminismo di quegli anni ha dato un buon supporto nella lunga rielaborazione di sé.

Lacci mi piace, perché parla delle rinunce che facciamo tutti per vivere in comunità, da quella più piccola della famiglia, alla comunità sociale. Io dico anche per coabitare con noi stessi. Aldo la chiama “sottoutilizzo” di sé, basta questa parola così esatta a dare consistenza al romanzo.

Contro affanni e lacci che ci legano trovo l’amuleto che mi salva, è il gatto Labes, che Vanda cura con amore. Scompare, Labes, e io soffro con la sua padrona quando se ne accorge, mentre controlla le stanze devastate dal caos e teme che gli possa essere capitato il peggio. In fondo, il suo nome in latino significa “rovina”. Per la famiglia, tuttavia, sta per “La bestia” abbreviato; e allora dalla bestia mi aspetto molto. Mi aspetto che dove è andato, e io lettrice lo vengo a sapere alla fine del romanzo, porti il suo essere secondo natura e dia un po’ di stabilità a chi se l’è preso.

Il romanzo su cui è incentrato il testo è: Domenico Starnone, Lacci, Einaudi, 2014

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari della rubrica di Roberta Barbieri clicca [Qui]

tag:

Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it