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Giorno: 21 Ottobre 2015

L’INCHIESTA
Dietro i banchi: “Noi la crisi non la paghiamo”

3. SEGUE – Il breve governo di centrosinistra crollò e il redivivo Berlusconi affidò nel 2008 il ministero dell’Istruzione Maria Stella Gelmini. Che la scuola italiana avesse necessità di risorse e competenze per innovarsi e portare i ragazzi italiani a livello dei loro coetanei europei, statunitensi, indiani e cinesi nel mondo globale era un’esigenza ormai nota, come soddisfarla è sempre stato un tema dibattuto e mai risolto. Così, mentre il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, con la legge n.133 del 2008, avviò una vasta operazione di razionalizzazione del sistema di istruzione tagliando soprattutto sul personale scolastico, riducendo il numero delle cattedre e ridimensionando il tempo scuola, eliminando le troppe sperimentazioni che si erano andate accumulando nel tempo in numero abnorme, il ministro Gelmini ripristinò un modello di scuola elementare obsoleto e tradizionale, rintroducendo la valutazione in voti numerici, che erano stati abrogati nel 1977, e riportando in cattedra la figura del maestro unico. Per le scuole superiori rispolverò il vecchio ordinamento che la vedeva rigidamente organizzata in quattro segmenti: i licei, l’istruzione tecnica, l’istruzione professionale e la formazione professionale. Forte le voci di protesta che si sollevarono dal mondo studentesco e da quello degli insegnanti, appoggiati dal mondo della cultura italiano, con scuole e università occupate, manifestazioni in ogni città, appelli e raccolte di firme “eccellenti”.
Al grido “Arriva l’Onda” e “Noi la crisi non la paghiamo”, un fronte organizzato smosse l’Italia dal Piemonte alla Sicilia: a Ferrara quelli dell’autunno del 2008 furono mesi di passione, la città fu colorata in più occasioni dagli striscioni di protesta degli studenti che spesso si univano in delegazione ai compagni di Bologna e Venezia, Roma. A Napoli le insegnanti del 73°circolo, per sostenere la lotta studentesca, indissero i funerali della scuola pubblica, commemorando le buone prassi dell’accoglienza, della continuità educativa, dell’uso di laboratori e del pensiero scientifico e plurimo, la biblioteca di scuola e il suo utilizzo, i progetti di accompagnamento alle diverse esigenze didattiche degli studenti, filmando la manifestazione e mettendola in rete. La protesta montò: nel novembre 2010 un gruppo di studenti universitari durante una manifestazione a palazzo Madama riuscì a rompere il blocco delle forze dell’ordine creando caos proprio dinanzi alle stanze del potere. Per la cronaca, è di questi giorni la notizia che i 19 imputati rischiano ora condanne comprese dai 6 mesi ai 2 anni e 10 mesi di reclusione, per aver turbato i senatori che, spaventati, non hanno potuto regolarmente svolgere le proprie funzioni istituzionali.

E giungiamo a noi, Ferrara 2015: sventolata come una conquista fondamentale per la crescita del Paese e osannata perché moderna è arrivata la “Buona Scuola”. Un’altra riforma. C’è da chiedersi: ma perché un’altra? Ma quando è successo che la scuola italiana sia stata riformata?
Nella sua struttura restano 5 anni di elementari e 3 di medie (pardon, scuola primaria di primo e secondo grado), con il maestro unico (detto prevalente, ma uguale nell’esercizio delle sue funzioni alla maestrina dalla penna rossa di De Amicis, nel libro “Cuore”, correva l’anno 1886) e una pletora di prof alle medie – dove si insegna educazione tecnica e si studiano le caratteristiche tecnologiche del legno, mentre il nostro mondo si muove su lastrine di atomi di silicio, dei quali nessuno ha informazioni. Per quanti riguarda le superiori c’è un ginepraio di indirizzi e possibilità ma, in fondo, siamo fermi al trittico liceo/ragioneria/istituto professionale. La scuola, buona, nuova, super-riformata è rimasta in sintesi a quella strutturata nel periodo fascista.

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ALTRE METE
Kazakistan, sogni e ricordi nel delicato equilibrio tra passato e futuro

Mentre Expo 2015 a Milano si avvia a salutare gli ospiti che ne hanno visitato i padiglioni da tutto il mondo, si configurano già i luoghi più amati.
Ai primi posti quello dedicato al Kazakistan, la cui capitale Astana ospiterà la prossima esposizione universale programmata per il 2017, dedicata all’energia del futuro. Ore di attesa per vedere mele, tulipani e storioni, prodotti-bandiera del Paese che ha ottenuto l’indipendenza dalla ex Unione Sovietica nel 1991, ospite di uno dei più grandi giacimenti petroliferi al mondo.
Diversi Paesi hanno già garantito la propria presenza all’evento, che focalizzerà l’attenzione sul futuro sostenibile ricordando l’inevitabile transizione energetica verso un futuro sostenibile, mentre il commissario generale Anuarbek Mussin attende la risposta dell’Italia, fiducioso che ci sarà, in virtù dei rapporti che la legano al Kazakistan.
Ma anche per motivi meno economici e più sottili.

Motivi che bene evidenzia l’etnologo e regista Andrea Segre nel suo ultimo documentario, “I sogni del mare salato”, presentato nell’ambito Documentari dell’ultima edizione del Festival di Internazionale a Ferrara. Il film, appartenente al progetto Fuorirotta (www.fuorirotta.org), che accoglie diari, reportage, documentari e fotografie, raccontando i migranti e suggerendo nuove mete di viaggio e di scambio con gli altri.
Il film “non ha pretese di inchiesta”, racconta il regista Andrea Segre; bensì ha la foggia di “un viaggio in una umanità che sta vivendo ciò che in Italia si è vissuto cinquanta anni fa.
Quello che si può scoprire facendo domande ai propri genitori, o ai propri nonni, sempre tutelando le persone che vivono la realtà che visito – e che non potranno più farsi una volta scomparse le memorie storiche.”

Tessendo in maniera tecnica una analogia di fondo che rende difficile essere positivi. Perché ora, in Italia, la festa è finita; sembra i soldi siano fuggiti, così come le promesse e le speranze che accompagnavano la generazione nata nel secondo Dopoguerra. E non è un caso se al racconto di viaggio di oggi di Segre in Kazakistan si alternano fotografie d’epoca tratte dall’archivio personale del regista e da quello storico dell’Eni, dove è ritratto il boom degli anni Sessanta, il miracolo economico, finalmente la ripresa dopo stenti e difficoltà finita la guerra.
Ragazze in dolcevita e cappotto a quadri che scherzano e ridono, ragazzi in comitiva si abbracciano pensando al futuro dietro l’angolo, con la certezza di essersi lasciati alle spalle un passato ingombrante e disseminato di pezzi da ricomporre. Passato che in Kazakistan è ancora così forte e accentuato dala “jurta” in una campo desolato, dove per sette giorni si saluta mangiando, bevendo e cantando un figlio delle steppe che se ne è andato. Pescatori kazaki di Jambai nel fotogramma successivo a quello in cui compaiono pescatori di Chioggia, quei laghi salati che custodiscono i sogni di una intera popolazione.

Paese in ascesa, dove la crescita economica procede spedita, il Kazakistan di oggi somiglia infatti molto all’Italia degli anni Sessanta. Una gallina le cui uova d’oro si chiamano petrolio e gas (il cui primo importatore è attualmente proprio l’Italia), in cui non c’è più posto per essere poveri, mentre si spera di diventare sempre più ricchi. Il successo di chi se ne va verso le città per lavorare in multinazionali, di chi guadagna quattro volte la pensione dei propri genitori cozza contro la realtà vista da chi per scelta o necessità – pastori, contadini, bambini – è rimasto nelle immense steppe che ruotano immobili intorno al Mar Caspio, l’occhio di acqua salata che ricorre nel titolo.
Lo scetticismo degli anziani è latente, opposta alla realizzazione in itinere dei più giovani; non bastano gli stipendi alti dell’oro nero per spazzare via un senso di malinconia che pervade chi è rimasto ad abitare città fantasma, oramai dominate da trivelle instancabili, custodi giganteschi di un Paese i cui abitanti ritornano solo per costruire nuove sentinelle di ferro e acciaio; dove se uno torna è solo per costruire altri fatiscenti palazzi del petrolio che svettano sulla steppa desolata, e non per restare: questo significherebbe ammettere che il sogno ha delle falle aperte, che l’acqua comincia a sgorgare da tubi lasciati aperti per errore. E non si tratterebbe dell’acqua salata del sogno.
Ciò che domina è il miracolo economico, la paura di essere esclusi e il desiderio di farne parte.

I primi operai che lavorano per l’energia dei Paesi satellite dell’Est; l’entusiasmo di chi apre una nuova attività, caschi da lavoro e tute in bianco e nero di fianco a impiegati usciti da master londinesi che vanno all’ufficio in taxi con autista, tutto scorre parallelo al Kazakistan di oggi.
Dove per ogni ristorante inaugurato c’è una apprendista (non più giovane) che lavora in un caffè.
E c’è il desiderio, un giorno non lontano, di aprire un ristorante, magari alla moda occidentale – magari lasciandoci accanto il “kuyrdak”, piatto tradizionale del posto. Ma ancora c’è da correre, mentre la giornata termina facendo i conti a matita su un pezzo di carta.
Corre veloce il progresso, somiglia a quello che un passo dopo l’altro ci porta a rimpiazzare, l’iPhone 6 al posto del 5, sembra raccontare tra le righe il documentario di Segre.
L’importante sembra essere non avere tempo per ricordare o provare nostalgia, di rallentare e chiedersi dove si sta andando, e in che modo. E pensare che Godot lo hanno aspettato invano non aiuta. Spesso però aiuta ricordare che il viaggio è tanto importante quanto l’arrivo, nonostante spesso tutto quello che si trova sia solo una porta a vetri appannati con la scritta “Chiuso”.

Che c’è stasera a teatro? Guida alle stagioni di prosa

Le stagioni teatrali ferraresi sono alle porte oppure sono appena iniziate, il teatro Comunale Claudio Abbado, il teatro Off (al Baluardo del Montagnone di via Alfonso I d’Este) e il teatro Comunale De Micheli di Copparo: tre diversi modi di approcciarsi e di avvicinare il pubblico ferrarese, che non ha più scuse per starsene chiuso in casa a lamentarsi che in tv non c’è nulla di interessante.

Cominciamo dalla stagione di prosa del teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara che, per interpretare al meglio il proprio ruolo di teatro pubblico della città, cerca di offrire diversi spunti di cosa possa essere una serata a teatro. Per questo le parole d’ordine sembrano essere molteplicità ed equilibrio, diversamente da quanto accade, per esempio, con le stagioni di danza, la cui cifra distintiva è la scelta di un linguaggio fortemente innovativo. Nei dieci spettacoli in cartellone da ottobre a maggio si trovano perciò grandi nomi dello spettacolo dal vivo e non, da Angela Finocchiaro a Gioele Dix a Paolo Rossi, e del teatro civile, come Marco Paolini e Ascanio Celestini. Ci sono poi autori e personaggi classici del teatro come Molière e Goldoni, Cyrano e Carmen, che però vengono riletti in chiave contemporanea per mettere in luce tutta la loro attualità. Si cerca però anche di raffinare e testare il gusto del pubblico con la sperimentazione del ravennate Teatro delle Albe, che porta sul palco uno spettacolo sulla figura di Aung San Suu Kyi, la giovane compagnia Il mulino di Amleto, alle prese con “Gl’innamorati” di Goldoni con musiche originali dei Marlene Kuntz, e la ricerca del milanese Teatro dell’Elfo. Non mancano comunque appuntamenti più ‘pop’ con lo spin-off Cittàteatro: dal musical “Jesus Chirst Superstar” a Sabina Guzzanti ad Ale e Franz.

Il Teatro Comunale De Micheli di Copparo sceglie invece di andare incontro ai gusti del pubblico frammentando in senso tematico la propria offerta. La prosa strizza l’occhio al cabaret, da Vito e Claudia Penoni a Giobbe Covatta in coppia con Enzo Iacchetti, da Ugo Dighero a Teresa Mannino, ma non mancano appuntamenti con grandi nomi della letteratura e del teatro italiani, come Erri De Luca con “La musica provata”, spettacolo tratto dal suo ultimo libro, e Ottavia Piccolo con “7 minuti” di Alessandro Gassman. Per chi dal teatro desidera spunti di riflessione sul passato e sul presente c’è invece la sezione “Paese civile”: cinque titoli che offrono scampoli di memoria dal Secolo Breve. A differenza del teatro Claudio Abbado, il De Micheli esercita il proprio ruolo di riferimento culturale puntando sul legame con il territorio, dando spazio al teatro dialettale di compagnie locali, e prevendendo specifici appuntamenti e forme di abbonamenti per ragazzi e famiglie.

Un discorso a parte va fatto per la programmazione autunnale dello spazio teatrale in via Alfonso I d’Este, gestito dal 2013 dall’Associazione Ferrara Off. L’idea che va in scena qui quella del teatro come spazio sociale, un luogo informale in cui spettatore e attore tornino ad avvicinarsi, in cui non ci sia solo fruizione, ma incontro e confronto. La prossimità fra pubblico e attori offerta da Teatro Off, complici anche le dimensioni raccolte della sala, non è solo una possibilità, ma anche una sfida: i dialoghi che spesso concludono le serate vogliono essere sì come le impressioni che si scambierebbero dopo lo spettacolo davanti a un buon calice, ma nello stesso tempo spingono lo spettatore a riflettere su ciò che ha appena visto, su cosa il testo, le soluzioni sceniche e le persone in carne e ossa davanti a lui gli hanno trasmesso.
La stagione autunnale 2015 si è aperta con la grande Maria Paiato: per tutto il mese di ottobre, giocando proprio sul rapporto intimo che lo spazio del Baluardo del Montagnone consente, leggerà alcuni degli autori italiani del Novecento che ama di più. Poi spazio alle produzioni ‘a km 0’ di Ferrara Off, che vedono impegnati i componenti del direttivo Monica Pazi, Marco Sgarbi, Monica Pavani e Giulio Costa e gli allievi dei corsi attivati dall’associazione. Tutta la programmazione è poi affiancata dalle “Domeniche d’autunno”, che parleranno di teatro mischiandolo con altri mondi culturali perché Teatro Ferrara Off diventi un luogo aperto alla cultura in ogni sua forma, dalla musica alla poesia.

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Teatro Ferrara Off

IMMAGINARIO
Due ferraresi in Fabbrica.
La foto del giorno…

Simona Paladino, artista visiva, e Massimo Alì Mohammad, regista cinematografico, saranno presenti alla Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo che si terrà alla Fabbrica del Vapore di Milano, da domani 22 ottobre fino al 22 novembre. Mediterranea 17 – Young Artists Biennale (questo il titolo originale) è un evento internazionale multidisciplinare curato da Andrea Bruciati e fa parte di Expo in città, il palinsesto di iniziative che accompagnerà la vita culturale di Milano durante il semestre dell’Esposizione Universale.
In uno dei luoghi più rappresentativi della creatività milanese contemporanea, 300 creativi under 35 provenienti da tutta l’area del Mediterraneo – fra cui i ferraresi- presentano i loro lavori, realizzati rispettando il tema di questa edizione della Biennale del Mediterraneo: No Food’s Land.

Per approfondire leggi qui.

ACCORDI
Maschere. Il brano di oggi…

Ciascuno recita la propria parte sul grande palcoscenico della vita quotidiana e di continuo – più o meno consapevolmente – indossa e cambia maschera per conferire l’appropriata espressione al proprio personaggio. L’attore ha fatto di questa inclinazione un’arte.

Ogni giorno un brano intonato a ciò che la giornata prospetta…

[per ascoltarlo cliccare sul titolo]

Francesco De Gregori, La valigia dell’attore

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Che c’è stasera a teatro? Guida alle stagioni di prosa

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